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INTERVENTI SU AGORAVOX

lunedì 29 settembre 2008



Figli assassini



 

Si parla - per spiegare la genesi dei continui eventi delittuosi a carico di minori che riempiono le cronache recenti - di genitori che non trasmettono valori positivi ai propri figli o ne trasmettono piuttosto, specie con 1′ esempio, di negativi.

Ma per gli psicologi dell’età evolutiva la violenza dell’adolescente non è tanto qualcosa che si forma in lui e deflagra a causa di fattori negativi quali l’esempio dei genitori, quanto piuttosto l’esito di un blocco del suo sviluppo psichico dovuto in primo luogo al mancato apporto genitoriale.
Quindi, il primo problema sembra essere quello della scarsa presenza o meglio spesso dell’assenza dei genitori dalla vita dei figli. La conferma viene dall’indagine dell’Osservatorio nazionale sulle famiglie presso il ministero del Welfare.

A fronte di dati che parlano di un venti per cento di bambini tra O e 12 anni con chiari segni di sofferenza psichica e per oltre il 50 per cento bisognosi comunque di assistenza specialistica , colpisce ad esempio che solo un’infima
di genitori usufruisca dei congedi parentali , in particolare di quelli previsti dalla legge 53 del 2000 (dal primo all’ottavo anno d’età del bambino si può stare a casa per un massimo di dieci mesi di congedo riscattabile – il primo dei quali interamente retribuito - ed in ogni caso di malattia del bambino): appena il 4 per cento del totale dei dipendenti pubblici, ad esempio , nel 2004 , in particolare 2 maschi su cento (tutti o quasi concentrati nel primo mese, quello retribuito) e sei donne su cento. I figli adolescenti sembra che chiedano “cose” mentre ciò che desiderano è il tempo, il tempo dei genitori per essere ascoltati. I
minoranza

genitori d’altra parte sono sommersi dai ritmi di lavoro con si conciliano con i tempi di vita.

 Gli esperti ci dicono che questi genitori maschi, soprattutto i più giovani, vorrebbero essere di più in famiglia, ma si fanno condizionare dalla pressione sociale (in sostanza, dalla paura di essere considerati “scansafatiche” o magari addirittura irrisi per una scelta considerata tuttora “controcorrente”).

Questo nonostante la legge affermi un diritto autonomo, non alternativo a quello materno, di esercizio della paternità : niente da fare, gli uomini italiani restano fanalino di coda in Europa in termini di tempo dedicato alle cure familiari e domestiche. 

Anche le lavoratrici vorrebbero in buon numero riorganizzare diversamente lavoro e famiglia a vantaggio della seconda, ma in questo caso - dicono sempre gli esperti - sono le regole di lavoro troppo rigide ad ostacolarle.

Per la verità , ci sono norme che cercano di garantire prospettive di carriera e non discriminazione anche alle donne che scelgano ad esempio il part-time, ma loro non si fidano, tanto che solo il 15, 7 % delle lavoratrici italiane sceglie questa modalità di lavoro contro una media europea del 33,5% (e meno ce n’è, meno le altre sono invogliate a sceglierlo) .

In più, a dissuadere tante donne e’é anche la voglia di non darla vinta ad un maschio che, come abbiamo visto, continua a latitare, almeno in Italia, per non ribadire una propria inferiorità. Per tante, probabilmente, questo é più forte di rimorsi, scrupoli di coscienza e pressione sociale (ancora assai forte) per un ritorno in famiglia (soprat­tutto da parte di madri e suocere).

Il problema è che i figli da grandi saranno probabilmente spietati nell’attribuire la fonte di tutti i loro eventuali problemi a quest’assenza genitoriale, specie materna, nei momenti cruciali dell’infanzia e dell’adolescenza . Così come per i genitori sarà raggelante, una volta andati in pensione, scoprire di non conoscere a fondo i propri figli, così come accade ad Arnoldo Foà in una commedia che si rappresenta in questi giorni a teatro.

Dunque, pensaci Giacomino ( e Giacomina) !







Il Tonino nazionale ( alias Antonio Di Pietro) è indubbiamente persona di talento mediatico e fiuto politico. Non usa il politichese né si adonta più di tanto del sarcasmo dei suoi boriosi detrattori che – poveri di argomenti - ne criticano l’eloquio non particolarmente forbito ( ma efficace, al punto che uno dei suoi tormentoni preferiti, il famoso “Che c’azzecca ?” , è entrato di buon diritto nel linguaggio comune e persino nel lessico giornalistico).

Viene in mente, in proposito, il piglio disinvolto e mordace con cui Cyrano de Bergerac, a coloro che per sfotterlo alludevano alla sua ragguardevole appendice, suggeriva una funambolica sequela di possibili calembour sull’argomento, tanto per dimostrare il suo totale non cale di loro e dei loro banali sfottò.
 

A volte però il Nostro, nella sua naiveté, rasenta l’ingenuità.
 

Ad esempio, quando – di quando in quando – si chiede accoratamente, in qualcuna delle sue ormai un po’ troppo frequenti ed ubique comparsate televisive (lo si può a volte ammirare contemporaneamente in due o tre canali diversi) : “Ma perché un cristiano deve pretendere l’ostracismo per un suo simile, negargli non solo di convolare a nozze ma persino di vedersi riconosciuti diritti elementari soltanto perché omosessuale, in spregio alla regola evangelica "ama il prossimo tuo come te stesso"?
 

Ma benedetto Tonino, a parte che niente e nessuno può costringere un essere umano, per sua natura solipsista, ad essere altruista al punto da amare l’altro ( tanto più se connotato da un’alterità percepita come irriducibile
) come se stesso, se non per libera scelta
,,  è assai più facile che a certe considerazioni solidaristiche si approdi usando ragione e coscienza individuale, che non una fede che sull’argomento specifico è gonfia di idiosincrasie, superstizioni e fanatismi ideologici, portato di secoli bui.
 

, un’alterità capace tra l’altro di scatenare reazioni violente
mente omofobiche anche nei più miti
tra i sedicenti progressisti

Se infatti , anziché fermarsi al catechismo della prima comunione, don Tonino avesse approfondito la storia del cristianesimo, avrebbe "scoperto" che la sessuofobia, la repressione sessuale vi è connaturata persino più che nell’lslam. Tant’è che mentre questo promette un paradiso con le vergini ai virtuosi, quello - incapace di elaborare un paradiso tentante - non fa che minacciare eterne e sadiche punizioni per i recidivi della carne.
 

E tra i suoi bersagli preferiti c’è proprio l’omosessualità, considerata come "innaturale" perché" non riscontrabile nelle altre specie" (il che fra l’altro è del tutto inesatto).

Chissà forse un giorno, dopo aver chiesto perdono agli ebrei "deicidi", ai mussulmani per le crociate, alle vittime dell’Inquisizione - e aver pagato molte migliaia di dollari per le violenze sessuali ai minori, alla cui origine c’è l’innaturale - questo sì - celibato imposto ai preti -, la Chiesa chiederà perdono anche agli omosessuali . .



































lunedì 6 ottobre 2008



Muore un’anziana: effetto collaterale?



 

Forse dovremo cominciare a considerare le sempre più frequenti “brevi” di cronaca  su anziani derubati, picchiati e qualche volta ammazzati dalle badanti, italiane o extracomunitarie che siano ( cui peraltro fanno da contrappeso notizie come quella della badante ucraina che ha rischiato la vita per salvare l’anziano accudito dalle fiamme o della badante rumena incolpata ingiustamente della morte l’8 gennaio 2008 ad Albano di una signora ottantenne, notizie che fra l’altro non hanno sui media altrettanto rilievo) come effetti collaterali di un eccesso di delega di funzioni di cura a soggetti estranei al nucleo familiare.

Chi è il colpevole di questo “eccesso”? C’è una corresponsabilità dei parenti, anche i più stretti: hanno sempre meno tempo e voglia di dedicarsi ai propri vecchi - cioè a chi il suo, di tempo, glielo ha dedicato ininterrottamente, fisicamente o mentalmente, da quando li ha messi al mondo - né possono sentirsi giustificati dalla fatica improba che spesso quella cura comporta, specie dinanzi ad anziani in preda a demenze o Alzheimer.

Ma la responsabilità prima è dello Stato, in tutte le sue articolazioni statali e locali, che dovrebbe mettere i parenti dell’anziano nelle condizioni di occuparsene, anche a tempo pieno, se necessario, e non lo fa.

E non lo fa perché la cura dei figli non fa PIL, non fa aumentare il prodotto nazionale lordo (questo moloch a cui tutto si sacrifica) come il lavoro di badanti e affini (colf, babysitter, persino dogsitter). E per lo Stato è meglio detassare i costi di costoro che far sì che figli  e parenti  non facciano mancare ai propri genitori il loro insostituibile apporto.

Con effetti che a volte possono essere addirittura tragici, ma sono sempre gravemente negativi per gli uni e per gli altri.

Eurobarometro ha pubblicato tempo fa i risultati di un’inchiesta tra i cittadini europei sulle condizioni degli anziani. Per prevenire gli abusi i cittadini chiedono sì pene più severe per i responsabili, ma anche una migliore formazione per i familiari e per gli addetti all’assistenza.




martedì 7 ottobre 2008



Violenza sulle donne






In questa storia sempre più tragica della violenza sulle donne ad opera di mariti, fidanzati o ex ( nel 2006 sono state centododici le donne uccise da questi “amorosi assassini” , come suona il titolo di un libro “collettivo” appena uscito sull’argomento,  e 4500 le denunce a CC e polizia) , le donne sono  in qualche misura  non solo vittime , ma anche "complici".

Complici più o meno involontarie della violenza che si consuma tra le pareti domestiche ( lo scriveva già, ma in un senso più generale, J.P. Sartre nell’introduzione al libro della consorte Simone de Beauvoir “L’altro sesso “ ), e questo non vale solo per quelle provenienti da culture come quella sudamericana e di buona parte del nostro meridione, per cui l’uomo che non fa valere la propria supremazia fisica è considerato poco più di un debosciato e schernito dalle stesse rappresentati del gentil sesso . 

Intanto, perché al 91,6 per cento degli stupri e al 96 per cento delle aggressioni fisiche non sessuali non segue alcuna denuncia : le donne, le ragazze emancipate, istruite, disinibite, in carriera di oggi continuano a sopportare in silenzio , come facevano le loro nonne il secolo scorso . E questo fa mancare il deterrente della giusta condanna del maschio violento.

Ma c’è un altro elemento da considerare. L’accettazione passiva , qualche volta addirittura entusiastica , con cui troppe donne – anche quelle che si spacciano per progressiste, come le varie Alba Parietti o Sabrina Ferilli - accettano l’utilizzo strumentale del loro corpo come attributo del potere del maschio  ( del resto, secondo gli psicologi,  l’uomo di potere è non solo ritenuto un buon partito da molte donne, ma addirittura “sessualmente attraente “ , anche se non è un Adone ! Insomma, ci vanno a letto volentieri , mica solo per circuirlo e farci magari carriera in politica come le pasionarie del “popolo delle libertà” ).

Vero è che almeno nei sondaggi  le donne dichiarano genericamente di essere sempre meno affascinate dal macho tutto muscoli e niente cervello né cuore ( dal TGcom del 20 novembre 2007 : “ Non sembrano proprio esserci dubbi: il maschio ”rude e virile”, tutto muscoli e modi alteri di chi “non deve chiedere mai” non incontra più il favore delle donne. Basta insomma con i machi alla John Wayne: ora il modello maschile per eccellenza che fa impazzire le signore è l’uomo stile George Clooney: bello e affascinante, ma soprattutto capace di parlare con le donne e ascoltarle. Insomma un uomo che non sente minacciata la sua virilità se pensa alla famiglia, gli piacciono le coccole e non si sottrae alle faccende di casa”).

 Ecco, forse la battaglia più importante si vince valorizzando  nell’uomo soprattutto le doti di tenerezza, di capacità di ascolto etc. ed isolando i machi, di qualunque estrazione, anche se potenti e danarosi.

 Se le donne  fossero capaci di spazzar via una volta per tutte certi vetusti cliché, cui paiono tuttora tenacemente attaccate, sarebbero probabilmente assai meno segnate da questo destino di violenza, che altrimenti pare ine­luttabile.

Certo, è un compito, questo, da far tremare i polsi, specie se si vive immersi in un contesto come il nostro in cui  il messaggio continuamente mediato da certa politica (Berlusconi in primis: “E' meglio essere appassionati delle donne che essere gay”) e dalla pubblicità  è quello della donna “da collezione”, della donna-oggetto, dunque da usare, trattare e se del caso strapazzare come tale.

venerdì 10 ottobre 2008



Non criminalizziamo gli Ultras










 





La criminalizzazione tout court degli ultras, di tutti gli ultras, senza prima chiedersi chi e cosa c’è sotto questo fenomeno e questa escalation di violenza, insomma senza prima cercare di capire sarà pure comprensibile, ma non è utile.
 Intanto, non è accettabile che questa criminalizzazione venga proprio da chi l’ha voluta e perseguita a tutti i costi, cioè i giornalisti sportivi con le loro cronache sempre sopra le righe, anche quando ora attaccano gli ultras al grido di “Linciateli!” o qualcosa del genere.
 E non parlo solo di quelli delle radio private e locali, vedasi la compagnia di giro di quelli del Processo del lunedì, che agli ordini di Biscardi, a sua volta agli ordini di Moggi, hanno per anni imperversato in TV e continuano ancora, incredibilmente, come se niente fosse successo, a farlo – con qualche defezione e molti nuovi acquisti di prestigio (si fa per dire) come l’ineffabile “onorevole” (si fa per dire) Taormina - da schermi solo un po’ più periferici, a drogare il calcio con toni e parole forti, con esasperanti, assurde, minuziosissime moviole-autopsie di un cadavere qual’è la partita già giocata). Il tutto al solo scopo “di acchiappare audience, qualche soldo e qualche brandello di notorietà, senza capire, fino a quando non gli esplode in faccia, di maneggiare non chiacchiere, ma nitroglicerina” (cito da Vittorio Zucconi).
 E forse un qualche atto di contrizione dovrebbero farlo anche coloro che si scagliano ora contro i teppisti, ma tutte le domeniche, nei più infimi campetti di periferia, smettono i loro abiti di genitori-allenatori con funzione di educatori dei loro figli-atleti a rischio e vestono loro stessi quelli di esasperati ultras, stimolando anche la slealtà e la violenza di quindicenni che già picchiano come grandi, come se si disputassero qualche coppa intercontinentale.
 

Ma, soprattutto, non si deve criminalizzare, perché è proprio questa criminalizzazione che fa innalzare ulteriormente i livello dello scontro, proliferare gli atteggiamenti criminali, gli attacchi ai poliziotti e ad ogni autorità costituita dopo aver scritto sui muri, anche a Parma, “polizia boia” o “basta diffide” o frasi roboanti ed imbecilli come “Se ci dimezzeranno, ci salverà l’onore” degne di miglior causa, per finire ai “10, 100, 100 Raciti“ di questi giorni, scritte che un tempo non si leggevano da nessuna parte e tantomeno a Parma, perché ci si concentrava di preferenza contro la squadra avversaria con scritte come “Reggio merda” o “Forza Vesuvio” contro i tifosi napoletani cui questi replicavano ad esempio con un divertente “Giulietta è una zoccola” contro i veronesi - si è demonizzata una città intera, Verona, definita “sentina del tifo più razzista e becero d’Italia” - cosa che uno scrittore anglo-veronese come Tom Parks che s’è occupato del fenomeno nel suo “Questa pazza fede” nega sia vero in assoluto.
            Se io continuo a dire che gli ultras sono tutti teppisti e criminali, costringo anche quelli tra loro che non lo sono a diventarlo. Si vogliono criminalizzare anche gli ultras di città meno violente di Catania, Napoli o Bergamo, come gli ultras nostrani?
            Come scrive il sociologo A.Roversi: “I continui attacchi criminalizzanti dei mezzi di comunicazione e dell’opinione pubblica, che considerano tutti i tifosi organizzati come degli ubriaconi, dei drogati, dei disadattati e degli emarginati, degli assassini hanno ormai da tempo relegato il problema del teppismo calcistico ad un semplice problema di ordine pubblico, quando trattasi invece più propriamente di un problema giovanile con più vaste implicazioni sociali, psicologiche e culturali e come tale dovrebbe essere trattato, affiancando a repressive misure di polizia (valide nell’immediato) programmi di intervento basati su una diversa ottica di medio e lungo periodo“. Se non è già tardi.
            Ed è scandaloso che nei programmi del governo ci sia solo repressione, repressione e ancora repressione, niente di costruttivo, di educativo, con la stessa logica con cui Bush continua la sua guerra privata in Iraq.




lunedì 13 ottobre 2008



Vite non parallele. Il mestiere del giornalista














Morando Morandini (quello del famoso, omonimo “Dizionario dei film “) ha dichiarato che “fare il critico cinematografico gli ha evitato di dover fare il giornalista, mestiere decaduto e degradato al pari dell’intera società “ (per farsene un’idea, consiglio la lettura del pamphlet di Marco Travaglio “ La scomparsa dei fatti” ).
         Questa la dirittura morale di un uomo che preferisce rinunciare ad una professione a lui congeniale pur di non dover piegare la schiena.
       Propongo di confrontare questa dichiarazione con quelle rilasciate da uno che il mestiere di giornalista lo fa , e senza tante remore, da anni, ossia il direttore dalla Gazzetta di Parma Giuliano Molossi: “Il nostro padrone è l’Unione Parmense degli industriali, lo sanno tutti. Per questo è ovvio che, per volere della proprietà, dobbiamo tacere alcune notizie (..) Nessuna mezza verità, nessuna bugia, ma solo l’occultamento di alcune verità “.
         Dunque, l’uno ringrazia il cielo per non aver dovuto sporcarsi le mani e la coscienza nella melma mediatica nostrana e l’altro confessa candidamente e senza un minimo di resipiscenza di essere un gazzettiere al servizio di qualche potente baronetto locale (con la tacita approvazione - presumo - di tutti i benpensanti parmigiani, che non sembrano sconvolti più di tanto di avere come unica fonte d’informazione locale poco più del gazzettino ufficiale di un’istituzione privata, ossia l’Unione Industriali di Parma).
        Il tutto in barba alla legge n. 69 del 1963 sull’ordinamento della professione di giornalista che all’articolo 2 stabilisce che “è diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà di informazione e di critica, limitata dall’osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui, ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservare sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede" nonché “promuovere lo spirito di collaborazione tra colleghi, la cooperazione fra giornalisti e la fiducia tra la stampa ed i lettori”.
     Insomma, roba da far rivoltare nella tomba pure il padre del Giuliano, Baldassarre Molossi, che da autentico montanelliano mai si sarebbe lasciato andare a sbracamenti così plateali.

giovedì 16 ottobre 2008



Piccoli Berlusconi crescono









 

 Per la serie “Piccoli Berlusconi crescono“: in un’epoca di grande spolvero berlusconiano, gli imitatori proliferano .

         In quel di Parma, per esempio – pur avendo perso per strada per ragioni anagrafiche e giudiziarie un paio di emuli del cavaliere, ossia Pietro Barilla e Calisto Tanzi (anche loro, ovviamente, “caballeros”, sicuramente di diversa stazza morale e capacità imprenditoriali, ma accomunati dal vizietto della tangente) vantiamo un piccolo Berlusconi fatto in casa, cioè uno che –c ome quell’altro – s’è fatto strada con metodi spicci e sbrigativi, pur opponendo alla visibilità berlusconiana un assoluto understatement che - senza scomodare pletore di avvocati fidati, giudici prezzolati, e magari leggi ad personam – gli ha permesso ugualmente di passare praticamente indenne da tante bufere: Paolo Pizzarotti.

        Di quello (Berlusconi) si narra che da piccolo studentello si faceva pagare le copie dei compiti in classe, di questo (Pizzarotti) che a soli diciannove anni, già bramoso di intrapresa, si fa emancipare dal Tribunale per assumere la titolarità della fabbrica fondata dal padre.

       Queste le successive tappe del suo “cursus honorum”: nell’anno domini 1992 incappa nell’inchiesta dei giudici di Tangentopoli sui lavori per “Malpensa 2000” (l’aeroporto che sarà inaugurato nel 1998), che si è aggiudicato insieme ad una nutrita compagine di imprese, alcune pubbliche, messe su grazie al miliardo e trecento milioni di tangenti versate alla Democrazia Cristiana.

           L’anno dopo, nell’ambito del filone “bergamasco” dell’indagine in corso sull’Anas a livello nazionale, Pizzarotti, la cui impresa si è aggiudicata l’appalto Anas per la costruzione del by pass stradale fra Lenna e Piazza Brembana, un affare da 60 miliardi, interrogato per chiarire se siano state versate tangenti, fa il nome dei due parlamentari “passati all’incasso”, uno democristiano e l’altro socialista.

          Assolto in seguito per le tangenti Enel (nello stesso processo in cui viene condannato Bettino Craxi), nonché per le presunte irregolarità relative agli appalti per la strada Ofantina, dove è coimputato con il Dc Angelo Sanza, nel settembre del ’94 Paolo Pizzarotti saldo il conto di Malpensa 2000, concordando coi giudici della sesta sezione penale di Milano una pena di un anno e un mese, oltre a 560 milioni di risarcimento, per le tangenti pagate per aggiudicarsi i lavori.

           IL 2 dicembre 1994 esce un articolo del settimanale "L’Espresso” dal titolo “Mani Pulite/Esclusivo: Il caso Concari : “Prandini, io ti accuso”.

          Vi si parla della morte del costruttore Piero Concari avvenuta il 12 ottobre 1994. Emerge, tra l’altro, che il suddetto, quarantotto ore prima di suicidarsi proprio nel quartier generale della Impresa Pizzarotti, e cioè il 10 ottobre, aveva presentato al Sostituto Procuratore della Repubblica di Parma, dottor Francesco Saverio Brancaccio, un memoriale contenente pesanti bordate contro il costruttore Paolo Pizzarotti, contro l’ex Ministro dei Lavori Pubblici Giovanni Prandini e contro il suo proconsole in Emilia Franco Bonferroni.

         Nel memoriale si faceva riferimento ad un brevetto che sarebbe stato messo a punto prima di morire dal Concari, brevetto che – a detta anche di un senatore leghista, Luigi Copercini, anche lui imprenditore parmense nel ramo delle fondamenta per costruzioni - “non poteva fare felici gli eventuali nemici o concorrenti di Concari, un uomo vecchio stampo che non amava le cose poco chiare".

         Il memoriale verrà poi inviato da sette senatori della Lega Nord in allegato ad un esposto al Consiglio Superiore della Magistratura, alla Procura Generale di Roma e al Ministero della Giustizia, “per evitare che cada nel dimenticatoio".

        Nell’esposto si definisce tra l’altro la morte del Concari come “presunto suicidio”, quindi si spiegano le ragioni del dissesto delle sue società, ossia un intreccio politico affaristico che trova riscontro in numerose notizie di stampa, interrogazioni parlamentari e finanche sentenze di Tribunale; si precisa che la Soc. Pizzarotti S.p.A. e la Soc. Incisa S.p.A. sono capofila di numerosi lavori che si svolgono in tutta Italia e in particolare quelli relativi alla realizzazione, in concessione ANAS, della "Ghiare-Bertorella" più volte citata negli appunti dell’imprenditore scomparso; si afferma che è di dominio pubblico che il Sostituto procuratore Brancaccio ha assidue frequentazioni personali con il dottor Paolo Pizzarotti della omonima azienda e con il ragionier Beniamino Ciotti manager del gruppo Ligresti & Gavio e quindi in Parma referente della Incisa S.p.A. e che è pure di pubblico dominio tutta una serie di "fallimenti" sospetti di imprese e aziende parmigiane, che molti sostengono non riconducibili ad uno stato di sofferenza della economia e con procedure definite dagli stessi bene informati "sospette"; e si conclude proponendo l’intervento di ispettori ministeriali, ad evitare ogni sospetto di inquinamento ambientale
             Il Pizzarotti cita tutti quanti, senatori autori dell’esposto e giornalisti dell’Espresso per danni materiali, morali e biologici.
             La Giunta per le autorizzazioni a procedere del Senato stabilirà poi nel gennaio 2000 che i senatori hanno esercitato funzioni inerenti al loro mandato parlamentare.
            A movimentare ulteriormente gli anni ‘90 della Pizzarotti, e poi anche quelli seguenti, c’è il filone dei pentiti della camorra. Comincia Pasquale Galasso, che fa intuire un sottile gioco estorsivo orchestrato tra notabili democristiani, da una parte, e boss come Raffaele Cutolo, prima, e Carmine Alfieri, poi, dall’altra. La conferma arriva nel 2003, quando la Dia di Napoli si accorge che la camorra imprenditrice dei casalesi, con fortissimi interessi nell’edilizia, è riuscita a estorcere denaro anche a imprese di livello nazionale come la Pizzarotti e a imporre omertà a tecnici che lavorano in zone del Paese diverse da quelle tradizionalmente controllate dalle organizzazioni criminali. Si scopre che un ingegnere della Pizzarotti, Giovanni Negro, è stato schiaffeggiato da un camorrista così violentemente da riportare la perforazione di un timpano, mentre il responsabile locale della società è stato addirittura prelevato e portato al cospetto del boss Francesco Bidognetti (“Cicciotto e’ mezzanotte”), che impone di affidare i subappalti a imprese gradite alla camorra ( proprio in quel periodo il ministro Pietro Lunardi, amico di Pizzarotti e come lui nato nella patria dei prosciutti, diventa famoso per l’invito a «convivere con la mafia»).
          Fosse diventata legge allora, la proposta recente del sottosegretario Mantovano di togliere l’appalto a chi non denuncia le ingerenze mafiose, sarebbe stata una bella lezione per i Pizzarotti di turno, sempre pronti a tutti compromessi.

           E il bello deve ancora venire, c’è alle viste la madre di tutti gli appalti, quello del ponte sullo Stretto. L’uomo del Ponte è la vecchia cariatide della politica democristiana Giuseppe Zamberletti, messo a capo della società pubblica “Stretto di Messina SpA” , ma nello stesso tempo anche capo dell’IGI - Istituto Grandi Infrastrutture, una potente lobby travestita da centro di studi e ricerche in campo ingegneristico e infrastrutturale, nel cui consiglio di amministrazione ci sono gli esponenti di tutte le più grandi imprese di costruzioni italiane, Pizzarotti compreso, ed anche di determinati istituti bancari. In altre parole, l’ennesimo conflitto d’interessi : come non bastasse la più che probabile alleanza tra Cosa Nostra ed ‘Ndrangheta per spartirsi appalti e subappalti, magari coi soliti metodi e contando sulla solità omertà.










sabato 18 ottobre 2008



Il prototipo della società razzista








 

Egoisticamente concentrati sulle nostre vere o presunte – e mediaticamente esasperate - esigenze di sicurezza, non ci accorgiamo che stiamo coltivando in laboratorio un prototipo che ci darà molto filo da torcere per gli anni a venire.

La cavia utilizzata sempre più spesso per il rischioso esperimento ha le caratteristiche del ragazzo ghanese pestato al parco Falcone – Borsellino di Parma o del giovane di Milano sprangato a morte da due pregiudicati per un pacco di biscotti, oppure – allargando l’orizzonte - del giovane brasiliano scambiato per terrorista, braccato come in una spietata caccia alla volpe e ucciso qualche anno fa nella metropolitana di Londra: giovane, appunto, poco più che adolescente, nato o cresciuto in Italia, padrone della lingua italiana, ma di origine extracomunitaria e di solito dai caratteri somatici “particolari”, che magari vive già per conto suo la sua “diversità” – a volte più percepita che reale – con qualche disagio.

Ecco, col clima che s’è creato grazie alle parole d’ordine della “tolleranza zero” e del “no al buonismo” (dove si scambia per buonismo quello che invece è da noi solo disorganizzazione burocratica e incapacità di gestire con efficienza, oltre che correttamente e oculatamente, senza eccessi né di un tipo né dell’altro, le situazioni potenzialmente eversive della convivenza civile) costoro finiscono per sentirsi sempre più diversi, percependo la loro diversità come un ingiusto destino, una condanna o qualcosa del genere, preda quindi di un complesso di persecuzione che esaspera ai loro occhi ogni sia pur lontana e vaga parvenza di discriminazione o di emarginazione nei loro confronti.

A monte ci sono anche dei dati oggettivi : le seconde generazioni di famiglie immigrate nate in Italia, ma senza cittadinanza, subiscono discriminazioni già a scuola ( dove sono circa 690 mila, il doppio che cinque anni fa’), si iscrivono per il 41 per cento ( contro il 21 per cento degli italiani) alle scuole professionali, poi sono marginalizzati nel mercato del lavoro (sono dati che emergono dalle periodiche rilevazioni di enti come “Save the children”) .

Immaginiamo quindi cosa può provare un soggetto del genere se finisce vittima di una maldestra (come minimo) operazione di polizia come quella di Parma (che deve apparirgli come la prova provata, definitiva, della discriminazione razziale nei suoi confronti): rabbia, una grandissima rabbia, per il dolore fisico ma soprattutto per quello psicologico, che si accentuerebbe vieppiù se non seguisse alcuna punizione.

Si sta creando così un corto circuito, non c’è da meravigliarsi se i soggetti a rischio comincino a circolare col coltello in tasca, pronti a reagire violentemente ad ogni maldestro controllo di polizia, ma anche a manifestazioni più blande di discriminazione vera o presunta.

Delle vere e proprie mine vaganti, questo stiamo fabbricando per le vie delle nostre città (l’unica speranza, a questo punto, sono le redzore, le buone signore non più giovanissime che si approcciano a questi ragazzi senza inibizioni, quasi animate da quella volontà di integrazione, di pacificazione sociale che manca nei fatti ai livelli superiori).

Ma vogliamo che si incendino anche da noi le banlieue come a Parigi ed in tutta Francia qualche anno fa’ ?

Ma li vogliamo far sentire più integrati, meno alieni, dandogli questa benedetta cittadinanza ?










lunedì 20 ottobre 2008



Le città di provincia italiane: Parma








 



A suo tempo qualcuno (il giornalista Pino Corrias, fra gli altri, nel libro “Vicini da morire”) additò a concausa del delitto di Erba (quello dei coniugi diabolici sterminatori dei vicini) il contesto ambientale in cui queste vite tragicamente sole e inutili si esaltano ed esasperano: luoghi deprivati di senso, di storia, ridotti a puri dormitori, magari di lusso, tipo le famose MilanoDue e tre coi patetici laghetti e le ochette, luoghi dove il “buon" senso comune cataloga pigramente come “una brava persona” chiunque, con poco rispetto di se’ stesso e del proprio tempo di vita, trascorra senza soluzione di continuità le sue giornate tra il lavoro per dieci, dodici ore filate e la Tv in poltrona, fino a che non “da di matto” e ce lo ritroviamo “a sorpresa” nei panni di assatanato assassino.
 

Questa deprivazione di senso – dopo le metropoli (Milano è da tempo in preda ad una fortissima crisi identitaria) - coinvolge ormai anche gli abitanti delle città di piccole dimensioni, quelle che una volta si definivano “a misura d’uomo” o “isole felici “, città apparentemente tranquille ed operose come Parma (in cui, nell’ annus horribilis 2006, si registrano quattro omicidi efferati, tra cui quello del piccolo Tommy di soli sei mesi d’età e di una ragazzina di sedici anni massacrata con centinaia di coltellate) o la vicina Brescia (dove nell’arco di poco più di 15 giorni, dall’11 al 28 agosto 2006, si verificano ben sette omicidi), nelle quali non a caso si sono verificate ultimamente – di preferenza – queste mattanze.
 

E questo non solo per la presenza sempre più massiccia di “stranieri” (circa nove su cento è il rapporto nella ex città “ducale”, e diciassette su cento a Brescia, la più alta media d’Italia). Già prima che arrivassero , l’impronta decisiva della vita solidale dei borghi si era persa nei microcosmi unifamiliari; come quella dei vari punti d’aggregazione non corporativa (non c’è osmosi fra i vari gruppi e gruppetti, anzi una chiusura sempre più netta agli “estranei”, con rigide regole di accesso).


Così la trama del commercio “popolare”, per rezdore di poche pretese vogliose non solo di shopping compulsivo, viene spazzata via da una “centrocommercializzazione” in stile anglosassone che oltretutto moltiplica il traffico d’accesso.
 

Così il territorio agricolo della celebrata Food Valley - dove non a caso gli eredi dell’ex sindaco Ubaldi, l’inventore della città cantiere, che governano il Comune all’insegna di calce e mattoni, trovano ora una sponda nel ricandidatosi presidente democratico della provincia, Bernazzoli per un’embrasse nous cementizio - viene avviato gradualmente alla totale cementizzazione, prevista di questo passo a metà secolo.
 

Persino lo skyline della città viene violentato da opere fuori scala come il ponte di Calatrava ad ovest o la futura metropolitana. E intanto si cerca di far fuori le memorie residue di una città cui già agli inizi del Novecento furono sottratte le spettacolari mura, identiche a quelle che fanno la fortuna turistica di città “gemelle” come Lucca, trasformando in albergo, negozi e residence l’Ospedale Vecchio, palazzo che da ottocento anni veglia sulla città, sede dell’archivio che raccoglie i secoli di un ducato e carte di scrittori, storici e poeti come Attilio Bertolucci. Nel frattempo, il mito della Pechino d’Italia è sempre più insidiato da una milanesizzazione forzata del traffico.
 

Ai governanti di Parma tutto questo, compresi i fatti eclatanti dell’anno horribilis 2006, così come per altro verso l’exploit della litigiosità giudiziaria condominiale segnalata dalle cancellerie, forse un effetto indotto dei fenomeni di cui sopra, lascia indifferenti . A loro interessa solo – come si espresse a suo tempo l’Ubaldi – “evitare che Parma diventi solo il buen retiro dei pensionati" (ma non risulta che Parma possa ambire a diventare una novella Saint-Tropez ed il Lungoparma la Costa Azzurra).






mercoledì 22 ottobre 2008



Beneficenza for profit



Intorno alla cosiddetta “beneficenza” fiorisce un business che nulla ha da invidiare, in termini di fatturato, mezzi ed operatori a quello delle maggiori imprese nazionali.
 

La corporazione dei professionisti della caccia all’obolo s’è infatti organizzata su scala industriale: in Parma ci sono decine di ditte la cui unica ragione sociale è spillare quattrini al prossimo in nome di invalidi, malati, moribondi, alcolisti o drogati in via di redenzione, bimbi e cani abbandonati, alluvionati, mutilati di guerra etc. etc.: una lista suscettibile di infinite variazioni sul tema.

Mettere su quest’impresa di questo tipo non è affatto dispendioso: basta un localino, un paio di telefoniste possibilmente dalla voce suadente ed un solerte fattorino incaricato del ritiro a domicilio del denaro.
 

La modalità adottata di preferenza è quella dello spettacolino con artisti non di primissimo piano organizzato in qualche sala parrocchiale per conto di qualcuna delle infinite sigle del settore (che prestano il loro “marchio” per modiche cifre): l’offerta – in questo modo – sarà più consistente, anche se il beneficiante difficilmente si recherà in sala per assistere alla messa in scena – nella data indicata sul biglietto, collocata ovviamente in prossimità della fine della campagna di raccolta.
 

Alla fine dei conti, buona parte del “raccolto” finirà nell’ordine: al titolare della ditta, alle telefoniste, al fattorino o fattorini (che di regola prendono l’un per cento di quanto raccolgono), agli “artisti”, a chi affitta il teatro e alla sigla “benefica”. Forse, se avanza qualcosa, qualche “sfortunato” avrà la sua parte.

Vere e proprie organizzazioni criminali, poi, arruolano a suon di botte minori, sordomuti e invalidi falsi o veri per l’accattonaggio. Curioso vedere qualcuno di questi veri e propri “artisti di strada” nel loro genere risalire con slancio insospettabile i mezzi pubblici alla fine delle loro penose ma assai realistiche esibizioni in centro.
 

Poi ci sono i dilettanti allo sbaraglio, a volte – a modo loro – “organizzati”, come i presunti ex – tossicodipendenti che, di solito fuori degli esercizi commerciali, penna alla mano, chiedono una firma inutile su una “petizione” fasulla ed all’incauto firmatario subito chiedono quattrini in nome di una fantomatica “comunità di recupero”.
 

Altro canale di “drenaggio” per ingenui o creduloni sono le boccettine che quasi ogni bar o esercizio commerciale che si rispetti ostenta sul proprio bancone in nome – di solito- di bimbi da operare con urgenza in America : si può scoprire che non c’è nessuna operazione da fare o non c’è alcun bimbo da aiutare (come per una bimba di nome Alice per la quale furono raccolti negli States l’equivalente di mille e duecento milioni di lire per un’operazione ai polmoni mai fatta).
 

Uno dei business più fiorenti è quello della raccolta di indumenti usati, da sempre terreno di scorribanda di professionisti del camioncino che si presentano a nome di associazioni benefiche fasulle con tanto di busta già pronta da riempire oppure svuotano i loro contenitori gialli (tra l’altro vere e proprie trappole mortali) collocati in posti strategici, mettiamo vicino ad un centro di raccolta di rifiuti ingombranti o nei cortili delle parrocchie. Se – come vantano costoro - quegli indumenti finissero davvero in parte nel terzo mondo, finirebbero solo di rovinare le industrie tessili locali (il ragazzino indiano o africano preferirà sempre le scarpe Nike usate che il prodotto locale non firmato).
 

Insomma, un business come altri, ma imbellettato da ragioni umanitarie, il che moltiplica a dismisura gli introiti (scriveva G.B.Shaw: “I ricchi fanno a beneficenza, ma anche la beneficenza fa ricchi”), ma anche l’intollerabilità di questo mercimonio.
 

Dunque, vigilate, gente. E se proprio volete elargire il vostro obolo, prima informatevi presso gli uffici dell’apposito assessorato comunale o all’Urp dell’USL, per sapere se il beneficiato ha dichiarato o registrato la propria ragione sociale (con tanto di sede e numero di telefono) e le attività per cui chiede soldi.


Commenti all'articolo


di gloria esposito (xxx.xxx.xxx.209) 22 ottobre 2008 19:44

Ho letto e riletto l’articolo e continuo ad avere l’impressione che faccia di tutto un erba un fascio.Premetto che l’economia no profit è un mio pallino quindi posso anche aver frainteso il contenuto del suo scritto ciononostante vorrei contribuire dicendo che questa particolare branca dell’economia è cosi vasta da intergrare realta’ molto diverse tra loro: aziende "fittizie"messe su per scaricare l’iva ,altre che truffano ,altre ancora che concretamente fanno del bene.E mi dispiace che magari passi il messaggio che la stragrande maggioranza delle organizzazioni benefiche servano solo ad arricchire i membri delle associazioni oppure a truffare le persone generose approfittando della bonta’ delle persone oneste.Non è questo lo spirito alla base del settore:si cerca di aiutare chi ne ha bisogno attraverso la creazione di aziende che come tali hanno necessita’ di reperire risorse (in questo caso fondi)affinchè si raggiunga lo scopo statutario(umanitario in questo caso).
Vorrei salvare il buono dell’economia no profit perchè credo davvero che ne valga la pena e perchè in Italia purtroppo non è ancora cresciuta cosi come in altri paesi(vedi Usa).Certo,BISOGNA STARE ATTENTI a chi si ha di fronte(come sempre nella vita)smascherando le "degenerazioni "del sistema perchè solo grazie al controllo(lo credo fermamente)si riusciranno ad espellere prima o poi quelle aziende no profit false che screditano tutto il settore.
Cordiali saluti,
Gloria Esposito



























Lunedì 17 novembre 2008






Agenzie (di illusioni) matrimoniali





 

Quella delle agenzie matrimoniali non è altro che l’ennesima variante sul tema : “Come spennare i soliti polli senza correre soverchi rischi di denuncia per truffa”.
 

L’agenzia, infatti, anche se si fregia indebitamente del titolo di “matrimoniale”, si obbliga semplicemente a fornire al cliente “il maggior numero possibile di contatti interpersonali" (la cosiddetta “obbligazione di mezzi”), non certo a trovargli a tutti i costi l’anima gemella o addirittura portarlo all’altare.
 

Nello stesso tempo però fa di tutto per illuderlo, a parte l’insegna fasulla: intanto, non sempre spiega preliminarmente e con la dovuta chiarezza al cliente che essa non garantisce affatto il risultato sperato, anzi non di rado lo incoraggia a firmare garantendogli che col suo fascino da latin lover non avrà problemi di sorta ad impalmare qualche bella squinzia; poi cerca di protrarre il contratto almeno fino a due anni (sperando che il cliente trovi al più presto l’anima gemella, chè in tal caso avrà realizzato il massimo profitto col minimo sforzo), spiegandogli che in questo modo avrà più possibilità di centrare il bersaglio.
 

Il cliente maschio che bussa a queste porte, dal canto suo – nonostante quello che si affannano a dirgli i furbastri che vi lavorano (“La gente si iscrive da noi perché sa di avere così maggiori possibilità di trovare qualcuno all’altezza delle sue aspettative" e menate del genere ) e che a volte può fargli piacere credere (per autoconsolazione) – è arrivato proprio alla frutta (per le donne è diverso, tra loro ci può essere davvero quella che cerca il “principe azzurro” delle fiabe, oppure la donna di una certà età e magari straniera che può trovare disdicevole girare per locali e luoghi pubblici in cerca del partito giusto; ma ci sono anche le agenzie che le donne le iscrivono gratis). Quindi, con tutta probabilità ha la mente obnubilata dal bisogno e disposto a firmare qualsiasi cosa gli si proponga.
 

Ma torniamo alla formula principe del contratto che vi si propina (che tra l’altro i furbastri non vi consentono di portare a casa per rifletterci sopra con calma magari con l’apporto di qualche avvocato): “L’agenzia s’impegna a promuovere relazioni sociali a favore del cliente al fine di procurargli il maggior numero possibile di contatti interpersonali". Come si vede, assoluta genericità e vaghezza degli impegni scritti col cliente (quanto a quelli verbali, non è raro sentirsi proporre mari e monti, al che uno si chiede: ma possibile che questa gente che si dice essere ricca, bella e di cultura sia ancora “single”?): non c’è nessuna indicazione precisa sul numero dei contatti “garantiti”, che ben possono dunque ridursi ad un numero assai esiguo a totale discrezione dell’agenzia, che avanzerà a sua giustificazione i motivi più vari, come ad esempio la difficoltà a reperire nel suo catalogo soggetti del tipo di quelli descritti dal cliente, anche se si tratta di richieste normalissime (giustificazione valida anche per spiegare la proposta di soggetti prive delle caratteristiche richieste: così si potrà ad es. proporre una donna con figli a chi ha chiesto di incontrare solo soggetti senza figli, spiegandogli che “è difficile trovare donne di una certa età senza figli “) e via di questo passo. 

In realtà, spesso si inviano al cliente schede di gente, donne in particolare, italiane soprattutto, che non hanno alcuna vera intenzione di fare nuove conoscenze, a meno che non capiti qualche Rockfeller magari piacente, e che si sono iscritte per hobby, specie se non si paga, ma quelli te le rifilano lo stesso, tanto per fare numero. 

Se quindi alla fine ti ritrovi un pugno di mosche in mano e provi a protestare, ti rispondono che sei tu che non ci sai fare o che hai pretese eccessive etc,etc.

Aggiungiamoci poi che queste agenzie, anche le più affermate, sono soggette ad un turn-over di personale davvero impressionante, et pour cause, trattandosi di un mestiere un po’ troppo particolare (l’Eliana Monti, ad esempio, una delle più radicate sul territorio, pare assuma soprattutto ragazze giovani, magari neolaureate in psicologia, che costano poco e fanno bella presenza, le quali accettano come primo lavoro, in mancanza d’altro, ma appena possono filano via per lavori un po’ più “dignitosi”).

Per cui uno si ritrova di mese in mese ad avere a che fare con personale diverso, con cui ogni volta deve riprendere il filo del discorso interrotto, fidando a questo punto soltanto nel buon Dio e nella buona volontà di chi gli sta di fronte (ma a torto, visto che costoro si sentono prima di tutto dipendenti impegnati ad accrescere il profitto del loro padrone e assai difficilmente prendono a cuore il problema del cliente, come pure sarebbe necessario in un mestiere del genere).

Poi ci sono le trappole diaboliche, del tipo ragazze dell’est, (in genere bellissime fotomodelle) che si iscrivono presso tutte le agenzie matrimoniali disponibili e vivono gestendo i numerosi incontri con il clienti (scelgono sempre i professionisti denarosi) delle agenzie matrimoniali.

Inutile dire che le agenzie che acconsentono a tenere il loro profilo all’interno del proprio catalogo sono ancora meno serie delle altre.

Quanto alle agenzie che propongono solo ragazze dell’est, spiattellando fotogallery di bellissime donne russe o ucraine o romene etc. da raggiungere a casa loro (così alle spese di iscrizione si aggiungono quelle del viaggio), ecco cosa accade di solito al malcapitato turista della speranza: si ritroverà nel migliore dei casi in una sala di aspetto a competere con un minimo di 20-30 clienti suoi connazionali (tanti sono gli italiani che mensilmente approdano ad ognuna di queste spiagge del desiderio insoddisfatto).

Un consiglio, dunque, a chi voglia a tutti i costi intraprendere questa strada assai perigliosa: passare prima da un’associazione di consumatori e farsi buttar giù un facsimile di contratto coi controfiocchi da opporre all’immancabile contratto-capestro della controparte.

Perché altrimenti non c’è uno straccio di legge che ci tuteli da queste vere e proprie “truffe legalizzate”.

24 novembre 2008































Le avventure di Colaninno




 

Colaninno padre, il capo della cordata di imprenditori della neonata “Compagnia aerea italiana” (CAI) che ha messo le mani su quel che resta dell’Alitalia grazie unicamente ai nostri soldi - alla fine l’impresa voluta dal Berlusca per fare un favore agli amici degli amici, con la scusa dell’italianità della ex compagnia di bandiera che fa gonfiare il petto soprattutto ai suoi sodali aennini cooptati nel Popolo delle Libertà, ci costerà circa un miliardo di euro, di cui trecento già mollati ed altri settecento tra obbligazioni Alitalia detenute dal governo e non rimborsabili, e cosiddetti ammortizzatori sociali, quali prepensionamenti e cassa integrazione - è un altro esempio preclaro di manager (anzi di “magnager”, neologismo più appropriato per questi signori) che approda ad un ente pubblico dopo aver mostrato tutte le sue “qualità” (si fa per dire) in un altro ente parzialmente pubblico come la Telecom, che portò al dissesto e da cui spillò gratis a fine corsa - a titolo di liquidazione – una società immobiliare, la IMMSI, poi rivenduta a peso d’oro per comprare la Piaggio a prezzi di realizzo e piazzarla ai soliti fessi a due euro e mezzo ad azione (oggi ne vale molto meno).
 

Evidentemente, ha fatto scuola il caso eclatante e vergognoso dell’affossatore delle Ferrovie dello Stato, Giancarlo Cimoli, premiato nel 2003 proprio con la direzione dell’Alitalia, dove è arrivato a guadagnare un milione e 334.000 euro l’anno come presidente ed amministratore delegato – ottavo tra i manager pubblici più ricchi - mentre portava al collasso definitivo anche quest’ente e scappava via prima del diluvio con l’ennesima prebenda-premio.
 

Ma torniamo al Nostro eroe di giornata (il salvatore dell’Alitalia !) e alle sue “marachelle” in Telecom. Per cominciare, i capitali utilizzati per la sua acquisizione vennero scaricati sull’ azienda stessa sotto forma di debiti: uno "zaino" pesante che l’azzoppò da subito, per cui il Nostro pensò bene di rivalersi sui poveri utenti (per la serie “il telefono, la tua croce“).
 

Così, ad esempio, sotto la sua illuminata guida il servizio del 12 divenne a pagamento (ben tre scatti a botta). Vero che faceva schifo anche prima (impossibile – per dirne una - avere un numero di un ufficio che non sia quello del centralino), ma almeno i numeri telefonici li dava gratis. Poi fece un’infornata di personale avventizio che, sottopagato e schiavizzato, scaricava le sue ubbie sui malcapitati che chiamavano i cosiddetti call-center (bisogna dire però che questa è da sempre una prerogativa Telecom: non c’è forse Ente più o meno pubblico in Italia i cui addetti si comportino così scostumatamente con gli utenti: pare quasi che in Telecom si faccia a gara ad assumere i peggiori!).
 

Nel frattempo si sovvenzionava lautamente vendendo le sue azioni Telecom – appena quotata in Borsa - a prezzo gonfiato. Poi le azioni scendevano al loro reale valore di mercato e a rimetterci era il solito Pantalone, ossia investitori e piccoli risparmiatori (ma questo è un meccanismo largamente usato dai suddetti “magnager”).
 

La sua carriera in Telecom finisce bruscamente quando i suoi soci Gnutti e Consorte gliela sfilano da sotto il naso e la vendono a Tronchetti Provera. Pare che Colaninno volesse affiancare una grande rete televisiva all’azienda, ma “in Italia chi tocca la Tv muore” (e infatti Trinchetti si affretterà ad affossare La 7 nella culla: un vero peccato, perché quel che resta de La 7 dimostra tutte le sue potenzialità inespresse di valido concorrente del duopolio Rai-Mediaset).
 

Ma ecco Colaninno ripartire da Alitalia. Certo che se il buongiorno si vede dal mattino, forse è il caso che i potenziali passeggeri rifacciano le valigie e traslochino sotto altre bandiere.









Commenti



·                     di mario , 24 novembre 2008 14:33 Le avventure di Colaninno

Prima di scrivere articoli si documenti perchè enuncia una serie di cose che nn esistono. Per esempio il pagamento del servizio 12 che già prima dell avvento di Colannino non era gratuito. E via discorrendo. L’unica cosa vera è che Colannino ha rovinato l azienda nella quale lavoro. A proposito lei che lavoro fa?

o         di factotum , 24 novembre 2008 19:18 Le avventure di Colaninno

Visto che ha fatto la "fatica" di commentare l’articolo ( che è qualcosa di più complesso , faticoso e impegnativo di due righe in croce, per giunta generiche) , faccia uno sforzo in più e spieghi, lei che è del settore, in che consisterebbe questa "serie di cose che non esistono" , così possiamo capire anche quelle che esistono ( ed il suo metro di giudizio) .


§           di mario , 24 novembre 2008 20:36 Le avventure di Colaninno

Forse il mio messaggio non ha avuto la pazienza di leggerlo. Ho fatto un esempio . Il 12 non è vero che è ha pagamento con l’avvento di Colannino, ma già da prima, e non con 3 scatti , ma con 5. Quindi lei non ha fatto una buona informazione. Inoltre il giudizio che da su chi lavora nella mia azienda è molto offensivo . Penso che ci siano tanti lavoratori e persone che non siano ne peggiori ( come Lei ci definisce) ne migliori di altri settori.
Inoltre si informi e ci informi bene su che cosa è un call center e cosa vuol dire lavorarci per otto ore con chiamate una dietro l ’altra senza interruzione e con turnazioni molto improbabili per il benessere psichico e fisico di chi ci lavora e che non consentono sempre una risposta al cliente qualitativamente soddisfacente. Ma è solo colpa di chi ci lavora o e il sistema creato nei posti di lavoro che non funziona?
Per ciò che concerne il sig. Colannino, come ho detto, concordo con Lei. Ha rilevato un azienda che assicurava lavoro a molte famiglie e un servizio sicuramente migliore di quello attuale, le ha caricato i debiti della famosa OPA e poi se ne andato con il bottino , lasciandola a un altro grande "imprenditore" quale Tronchetti Provera.Poi la storia penso la conosciamo tutti.






§                di factotum , 25 novembre 2008 19:40 Le avventure di Colaninno

Guardi che ci sono dei mestieri - comportanti il contatto continuo coll’utente - altrettanto se non più impegnativi e faticosi - e pericolosi anche, talvolta - di quello del call-center ( per fare un solo esempio fra tanti, provi ad immedesimarsi nel lavoro degli addetti delle case protette per anziani spesso dementi o in preda ad Alzheimer ! ) , ma non per questo chi ci lavora - che fino a prova contraria non vi è stato costretto con la forza - è autorizzato a comportarsi villanamente coll’utente incolpevole di tanto stress e di tanta disorganizzazione.
Se insomma saltasse la staccionata e provasse ad immedesimarsi negli utenti, e non solo nei problemi della categoria, capirebbe che se c’è qualcuno che ha soprattutto diritto di protestare ed anche di offendersi è proprio l’utente sottoposto a trattamenti del genere di quelli che ho descritto nell’articolo e che ho sperimentato in prima persona come tanti altri malcapitati.















































sabato 20 dicembre 2008









La destra, specie a partire dalle ultime tornate elettorali, politiche o amministrative che siano, suole presentarsi come una forza non condizionata da ideologismi ormai desueti.
 

Questo approccio era molto evidente, in particolare, nella campagna di Alemanno per il Campidoglio. Alemanno vinse, probabilmente, anche perché si accreditò come il pragmatico che, affrancato dai ceppi ideologici della sua parte politica, cerca di abbassare i toni del dibattito che la sinistra aveva pericolosamente elevato gridando ai “barbari in arrivo” o al torbido connubio tra “leghisti,fascisti e affaristi” (come se gli “affaristi” fossero tutti da una parte: purtroppo le vicende recenti che hanno coinvolto numerose giunte di centrosinistra dimostrano il contrario) , fino al patetico exploit di Ingrao: ”Io vi prego, vi scongiuro...” a petto del quale il “mi raccomando, nun votà Alemanno” letto sui muri di città appariva ben più diretto ed efficace. 

La deideologizzazione del dibattito politico è cosa buona e giusta se aiuta tutti a ragionare con la propria testa e non per schemi e partiti presi, a valutare le singole scelte politiche, per quanto provengano da parte avversa, con obiettività e senza pregiudizi di sorta.
 

Capisco che sarebbe una rivoluzione copernicana per un Paese abituato da secoli a dividersi tra guelfi e ghibellini e che, probabilmente, si diverte ancora in buona parte a schierarsi per l’uno o per l’altro dei contentendi televisivi, ognuno geloso detentore della verità assoluta e mai disponibile non dico ad accettare le tesi contrarie, ma nemmeno a ragionarci un attimo sopra (e difatti l’uno cerca di prevaricare l’altro, magari coprendone la voce per impedire agli utenti di ascoltare quel che dice; non per niente Omar Calabrese ha intitolato un suo saggio: “Come nella boxe. Lo spettacolo della politica in Tv".

Un divertimento fine a sé stesso, però, dal quale molti – immagino - si levino con una sensazione di inconcludenza ed inutilità di queste ipocrite esibizioni di anime belle, tutte piene di zelo e progetti per il bene pubblico, le stesse che – intercettate dai magistrati nel privato – mostrano di non sollevarsi d’un palmo dalla meschinità o peggio dei loro interessi personali e di bottega, per non parlare del linguaggio scurrile esibito, ad ulteriore conferma della loro bassezza morale (e forse il calo  degli ascolti Tv è una prova indiretta di questa crescente insofferenza: per dirne una, nell’ottobre 2005 RAI e Mediaset insieme avevano una penetrazione complessiva del 43,32 per cento della popolazione, scesa al 38,86 nel novembre di quest’anno). In ogni caso la deideologizzazione del dibattito politico nazionale sarebbe ben più apprezzabile ed apprezzata se non venisse sbandierata talvolta a sproposito, lasciando il sospetto di voler in realtà coprire corposi interessi o peggio malefatte inconfessabili.
 

Per fare un esempio che riguarda la politica internazionale ed in particolare la guerra in Irak, si può davvero liquidare come “ideologica” la tesi per cui “qualcuno” all’interno dell’amministrazione USA – e segnatamente il vicepresidente Dick Cheney, incidentalmente capo dell’Halliburton, la più grossa impresa di costruzioni del mondo – può aver fatto la semplice, banale (anche se cinica) considerazione economica per cui per poter lucrare sugli affari della ricostruzione, bisogna prima distruggerlo, il paese che si vuole ricostruire? Risultato impossibile se Saddam fosse stato eliminato in altro modo, magari con una di quelle operazioni chirurgiche che a suo tempo tolsero di mezzo personaggi di ben altro calibro.
 

Peggio ancora, la auspicata deideologizzazione perde credibilità se chi la promuove non si comporta di conseguenza.
 

E dove sono le scelte anti ideologiche di questa destra di governo che si muove solo a favore del “suo” popolo delle partite IVA abbassandone la già scarsa contribuzione fiscale con la revisione degli studi di settore e altri sbracamenti consimili, mentre nega agli altri persino la non trascendentale defiscalizzazione delle tredicesime, almeno di quelle meno ricche, pur propugnandone a parole maggiori consumi?


Sull’altro versante, ossia a sinistra , qualcuno sembra aver interpretato la svolta riformista come un allettante invito a scavalcare ogni residuo sentimento di “diversità”, ogni residua remora a copulare con l’affarismo più becero (“Ma smitizziamoli, questi parchi!”, invocava il sindaco di Firenze prima di lanciarsi a capofitto tra le braccia dell’ultima speculazione edilizia ligrestiana: ottanta ettari di verde spazzati via per far posto ad uno stadio di calcio).
 

Se il riformismo è questo, allora arridatece l’ideologia !























sabato 10 gennaio 2009






L’indipendenza dell’informazione... E il crack Parmalat?





 

Ferruccio De Bortoli, direttore del “Sole-24 Ore”, va in giro per conferenze sulla crisi finanziaria ed i suoi riflessi sull’economia reale e col suo solito aplomb chiosa: “E’ nelle situazioni di crisi che si evidenzia l’importanza di una stampa libera e indipendente …”.
 

Verrebbe da chiedergli: ma questo principio sacrosanto, ratificato pure nelle otto regole della “Carta dei doveri dei giornalisti economici” del 1993 (ritoccata nel 2005 e nel 2007) che a sua volta si richiamava alla direttiva comunitaria contro il market abuse, s’è mai tradotto in realtà?
 

Si direbbe piuttosto che in tutti i principali casi di crisi finanziarie del passato recente (nelle quali le banche hanno sempre giocato un ruolo di primo piano) , come Cirio, Parmalat, Italease, i giornalisti, comprese alcune cosiddette “grandi firme", si sono dimostrati nel migliore dei casi poco attenti a quel che accadeva, nel peggiore omertosi ed accondiscendenti, per non parlare dei casi eclatanti di giornalisti che ricattavano le imprese: soldi in cambio della cessazione di campagne di stampa ostili.
 

Insomma, come scrive Travaglio, anziché i cani di guardia del potere, come in America, questi al massimo hanno fatto i cani di compagnia o da riporto.

Per esempio: i giornalisti del gruppo editoriale che fa capo all’Unione Industriali di Parma, mentre la bolla speculativa Parmalat cresce nel corso degli anni ’80 e ’90 fino a raggiungere la cifra record di 15 miliardi di euro, 30.000 miliardi di lire, l’equivalente di due punti di PIL, non fanno una piega.
 

Nemmeno quando si comincia a vociferare apertamente di doppie fatturazioni, di operazioni spregiudicate, di fatica a rientrare dai prestiti bancari e intanto si susseguono i fallimenti industriali (ultimo quello dei prodotti della linea Mister Day).
 

Nemmeno quando, sei anni prima del crack del 2003, un piccolo ragioniere parmigiano, tale Mario Valla, in una consulenza per la Procura (che poi opportunamente insabbierà il tutto) denuncia : “La Parmalat è da considerarsi fallita senza l’aiuto delle banche".
 

E il loro giornale (la Gazzetta di Parma) continuerà a tacere persino quando, a metà dicembre 2003, ormai tutte le prime pagine dei quotidiani nazionali sono dedicate alla Parmalat (forse sperando che nessuno le leggesse).
 

Dopodiché, caduto Tanzi, sarà tutto un “dagli all’untore!”, un addossargli tutte le colpe per non far emergere il marcio tutt’attorno.

Ma, ripeto, quello dell’indipendenza della stampa dal potere economico è un problema nazionale.
 

Ogni tanto, per fortuna, qualche giornalista se ne ricorda.
 

Per esempio. Il 31 dicembre scorso sul Corsera i giornalisti del Cdr del giornale milanese così scrivono agli azionisti della RCS (banchieri, imprenditori, finanzieri e capitani d’azienda): “In una fase confusa e delicata, questa Redazione continua ad avere chiaro che il Corriere della Sera non è uno strumento nelle vostre mani  e vi ricorda ancora una volta che la missione di un giornale è di assicurare un’informazione libera, pluralista e, sempre e ovunque, indipendente”.
 

Chissà se questi buoni propositi serviranno in futuro a strappare qualche incauto risparmiatore dalle grinfie di bancarottieri e banchieri da strapazzo .



 13 febbraio 2009






Se i giornalisti gridano al linciaggio





 

Ecco un piccolo campionario di quel che ci tocca leggere, un giorno sì e l’altro pure, in omaggio alla libertà di stampa, sul tragitto che sembra condurci inesorabilmente alla deriva morale.
 

Su un settimanale della free press parmigiana (che non ha solo i “venticinque lettori" del Manzoni, la sfogliano ben trenta lettori di giornali su cento) gli editoriali - che, come si sa, di solito sono affidati alla penna di personalità di spicco -, sono appannaggio di un tizio che, a quel che si sa, ha il solo background di “esperto in esplosivi” (tutto un programma) e diffonde il suo verbo con piglio messianico.
 

Ultimamente si è esibito in questo exploit: dopo aver sproloquiato sui casi – assai inquietanti, per la verità - di Luca Delfino e Angelo Izzo, si rivolge a quelli che chiama confidenzialmente gli “Amici della Polizia Penitenziaria” e li invita “a guardare da un’altra parte mentre qualche energumeno trasforma il Delfino e l’Izzo nella sua troietta".
 

Termina quindi con un “grazie di cuore a nome mio e di tutti gli italiani che ignorano la falsa demagogia buonista", dando per scontato evidentemente che gli “Amici” si adoperino immediatamente per accontentarlo, magari provvedendo in proprio.
 

E giù - immagino - gli applausi scroscianti di tutti i benpensanti come lui. Gli stessi che inneggiano sui quotidiani on-line, negli spazi dedicati ai commenti dei lettori, ai pestaggi in carcere di Aldo Cagna, l’assassino di Nadia Mantovani (per la morte annunciata della quale le forze dell’ordine hanno molto da rimproverarsi), e dei due romeni arrestati per lo stupro di Guidonia (e che alla radicale Rita Bernardini, che ha denunciato il fatto, hanno scritto via e-mail: “Fai schifo, ti auguro di essere stuprata da un branco di merde come quelle lì…” oppure «Spero veramente che un giorno le stuprino le sue figlie o qualche suo famigliare»).


Ma che differenza sostanziale c’è, sul piano morale, tra uno che stupra ed uno che incita al linciaggio? Nessuna. Quello che oggi incita al linciaggio sarà probabilmente lo stupratore o l’assassino di domani.
 

Questo è il livello di civiltà da terzo mondo a cui questi soggetti, intasando i buchi neri dei nuovi mass-media informativi, vorrebbero trascinarci (il trattamento dei detenuti è un infallibile metro di misura , come diceva Voltaire). Il loro ideale sono probabilmente le carceri brasiliane o turche, col loro corollario infinito di pestaggi, torture fisiche e psicologiche, scioperi della fame di protesta e punizioni.
 

C’è poi da chiedersi: ma questi linciatori di professione dove cavolo sono quando c’è bisogno di aiuto, di solidarietà tra cittadini, di un tessuto sociale civile che cerchi di prevenire crimini e abusi, invece di scagliarsi contro i criminali solo quando ormai sono stati già messi in condizione di non nuocere?



Per dirla tutta, anche i cosiddetti “maestri” del giornalismo talvolta lasciano a desiderare.
 

Sabato 24 gennaio ci è toccato leggere un confuso editoriale sul Corsera, di cui è stato pure direttore, dell’ineffabile Piero Ostellino (vecchia cariatide sempre più ideologicamente sodale al berlusconismo), in cui inneggia – udite! udite! - all’individualismo, suggerendolo ad Obama come ricetta per trarre l’America dalle secche della crisi sottraendola alle insidie di un eccessivo interventismo statale (in questo allineandosi perfettamente al suo mentore Berlusconi), a parere del quale le poderose misure anticrisi degli altri paesi europei sono state per l’appunto “eccessivamente interventiste”, per cui in Italia c’è da attendersi al massimo da questo governo qualche minestrina riscaldata come gli incentivi all’acquisto delle lavastoviglie o di auto ecologiche, senza però toccare gli ecologissimi SUV, la cui diffusione esponenziale ha decretato il definitivo trionfo della legge della giungla sulle nostre strade ai danni soprattutto di pedoni e motorini.
 

Ora, a leggere il dizionario della lingua italiana, l’individualismo è “la tendenza a svalutare gli interessi e le esigenze della collettività, in nome della propria personalità o indipendenza o egoismo”.
 

Dunque, non sembra proprio proponibile a chicchessia, men che meno da chi – in quanto italiano - dovrebbe ben conoscere gli effetti deleteri sul nostro vivere civile (o meglio incivile) di quello che è - com’è noto - uno dei peggiori vizi nazionali assieme alla propensione alla corruzione/concussione, a fregare il prossimo, alla disorganizzazione etc.
 

Effetti che vanno dagli immani quotidiani ingorghi metropolitani, frutto insieme dell’individualismo che non rinuncia all’auto nel paese più motorizzato del mondo e dell’insipienza degli amministratori dediti solo al loro “particulare”; agli egoismi assurdi (ognuno geloso di quel che sa) che tanto nuocciono all’efficienza del lavoro di gruppo sia nel privato che nel pubblico , o ancora alla proliferazione incontrollata di ridicoli partitucoli – in quella che era stata annunciata dai soliti coriferi del “nuovo che avanza” come l’era del bipartitismo più o meno perfetto (da quello di Ferrara a quello del convertito Magdi Allam e di tanti altri che rappresentano solo il loro ego smisurato), e via elencando.



Se questi sono gli esempi proposti dai cosiddetti maitre-a-penser, c’è poco da meravigliarsi che proliferino i tentativi più deleteri di imitazione .





















































sabato 2 maggio 2009



Terremoti, alluvioni ed eruzioni: Italia "fabbrica di disastri"





 

Il problema della vulnerabilità idrogeologica, sismica e vulcanica del nostro territorio è da sempre il più trascurato in Italia: non ci si è mai preoccupati di consultare i geologi - pochissimi , tra l’altro, tanto che molti laureati in geologia fanno tutt’altro mestiere - per avere un esame dettagliato, ad esempio, del suolo su cui costruire , salvo stracciarsi le vesti e versare lacrime di coccodrillo all’indomani delle catastrofi annunziate che colpiscono regolarmente il paese, per poi dimenticarsene fino alla prossima.

Siamo – come scrive Giorgio Bocca – un paese che “fabbrica disastri”: 1951 alluvione del Polesine, tanto disastrosa da finire nei libri di scuola elementare; 1961 disastro del Vajont ; 1987 alluvione della Valtellina con 53 morti, migliaia di sfollati ed un danno di circa 4000 miliardi di lire; 1988 decine di frane e 2.000.000 di metri cubi di fango travolgono i comuni di Sarno, Quindici, Siano e Bracigliano con 160 morti, di cui 137 nella sola Sarno.
 

Il tutto con una spesa per la riparazione dei danni che nel solo decennio 1994-2004 è ammontata a 20.946 milioni di euro, senza risolvere strutturalmente niente , poiché ancora adesso il 50% degli italiani è a rischio. Una spesa assai maggiore di quanto costerebbe affrontare per tempo i problemi.
 

Persino i tanto vituperati Borboni di Napoli avevano fatto di meglio, approntando quantomeno un funzionale sistema di tutela del territorio campano, e – guardacaso - del Sarnese in particolare, dalle alluvioni: i c.d. Regi Lagni, dei particolari tipi di pozzi che drenavano molto efficacemente l’acqua in eccesso, da un bel pezzo abbandonati a se stessi e ormai non più funzionanti.
 

Negli anni 50, vi era un rito nelle scuole italiane: il giorno di S.Martino, l’11 Novembre, ogni scolaro piantava un alberello, un modo simbolico di opporsi al disboscamento selvaggio, che è però continuato ai giorni nostri, insieme a incendi dolosi o su commissione per recuperare terreni alla speculazione edilizia.
 

Aggiungasi lo scarsissimo controllo da parte delle autorità costituite sul modo di edificazione. A suo tempo fece scalpore quanto accaduto a Napoli a seguito del disastroso terremoto del Novembre 1980 (6° grado Scala Richter o 9° grado Scala Mercalli): un palazzo di 10 piani terminato appena l’anno prima crollò come un castello di carte senza fare vittime e si scoprì che era stato costruito con cemento disarmato, senza l’armatura metallica, o almeno le staffe di contenimento. Visto quanto successo a L’Aquila, non pare che da allora si siano intensificati i controlli. Quando il danno è fatto, poi, solitamente si manifesta una cronica confusione e dei ritardi inconcepibili nei soccorsi, specialmente se il disastro succede nei sacri giorni di festa.
 

Qualcosa si è fatto istituendo la Protezione Civile, che negli ultimissimi tempi è abbastanza migliorata sul piano dell’operatività ma molto resta ancora da fare.

Basta un temporale un po’ fuori della norma, per avere il massimo stato d’allerta per piene varie e possibili esondazioni, come nel caso ultimo del Tevere.
 

Siamo insomma il paese dell’emergenza continua, come ben evidenziato dall’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale ) che fornisce dati impressionanti:


1) i comuni interessati da frane sono ben 5596 ( 69% del totale) con rischio molto elevato per 2839 ; a tutto il 2006 i fenomeni franosi censiti sono 470 mila riguardanti un’area di 20 mila km quadrati. Ben 2/3 delle zone esposte a rischio interessano centri urbani, infrastrutture e aree produttive connesse allo sviluppo economico-sociale del paese, e le cause per lo più sono di origine antropica (umana).
 

Ad esempio nella zona di Sarno colpita nel 1998, già nel periodo 1841- 1939 si erano verificate 5 frane, ma il fenomeno aveva avuto una progressione impressionante nel secondo dopoguerra, con ben 36 eventi franosi, senza che alcuna autorità politica o tecnica prendesse provvedimenti.



2) Le aree a maggior rischio sismico, sempre secondo l’ISPRA, sono :



1-Settore friulano;

2-Dorsale appenninica centromeridionale;

3-Margine calabro tirrenico;

4-Sicilia sudorientale.



Il 69% dei comuni sono a rischio sismico (si salva solo la Sardegna, di epoca geologica terziaria rispetto al resto d’Italia di epoca quaternaria).



L’elenco dei terremoti esemplifica quanto sopra:


1908 - Terremoto di Messina con circa 100.000 morti;


1915- Terremoto in Abruzzo con 15.000 morti di cui circa 10.700 nell’epicentro
di Avezzano dove si salvarono solo in 300;


1930- Terremoto in Irpinia con 1425 morti;


1968- Terremoto nella valle del Belice in Sicilia con circa 250 morti;


1976- Terremoto in Friuli con circa 1000 morti;


1980- Terremoto in Irpinia con circa 3000 morti ;


1997- Terremoto in Umbria con morti, danneggiata tra l’altro la basilica di S. Francesco d’Assisi coi preziosi dipinti di Giotto e del suo maestro Cimabue;


2002-Terremoto nel Molise , tra l’altro una scuola crollata con 27 bambini come vittime;


2009-Terremoto in Abruzzo con circa 300 morti.



3) Esiste anche un’accentuata pericolosità vulcanica (dati ISPRA) in zone come:


1-Area vesuviana ;

2-Isola d’Ischia

3-Settore etneo;

4-Isole Eolie;

5-Colli Albani.



Il pericolo non risiede solo nell’attività vulcanica , ma in alcuni casi anche nell’eventuale attivazione di fenomeni gravitazionali con relative onde di maremoto. Eppure dopo il terremoto del 1980 si decise di realizzare 20.000 alloggi nella zona rossa sotto il Vesuvio e solo nel 2003 fu emanato un divieto edilizio che riguardava 250 km a rischio, cercando di indurre chi abitava sulle pendici del Vesuvio a trasferirsi, incentivandoli con la corresponsione di 30.000 Euro.
 

La gente pensò bene di incassare la somma ma di lasciare la casa ad altri, vanificando l’iniziativa: in tutto ci furono la miseria di 378 trasferiti. Attualmente un piano di evacuazione predisposto dallo Stato, in caso di attivazione vulcanica del Vesuvio, richiederebbe ben 12 giorni.





Una piccola digressione per capire come avvengono i terremoti.


Ecco le parti del sottosuolo fino al centro della terra:





CROSTA TERRESTRE (SILICATI E ROCCE CALCAREE) DI 70 CHILOMETRI 
MANTELLO SUPERIORE DI 400 CHILOMETRI

MANTELLO DI 3000 CHILOMETRI


Nel mese di maggio Marco Travaglio pubblica una sua breve biografia sull’Unità e nel libro "Se li conosci li eviti" (scritto con Peter Gomez), rievocando certi suoi "trascorsi", ossia la sua presenza dal 1979 nella società di brokeraggio assicurativo Sicula Brokers, di cui faceva parte Enrico La Loggia, futuro politico di spicco di Forza Italia, ed altri soci come Benny D’Agostino, Giuseppe Lombardo e Nino Mandalà, tutti e tre successivamente incriminati per associazione mafiosa o concorso esterno in associazione mafiosa; nonché l’attività di consulente urbanistico all’interno del Comune di Villabate sciolto due volte per mafia (il sindaco era il nipote del suddetto Nino Mandalà, capocosca della cittadina), incarico che, a detta del mafioso pentito Francesco Campanella, ex esponente di spicco dell’UDC per il quale era fino all’arresto segretario giovanile, gli era stato assegnato nell’ambito di un patto mafia-politica.



Il 10 maggio 2008 Travaglio presenta il libro su Rai3 a "Che tempo che fa" e per l’occasione ironizza amaramente sulla parabola discendente di una carica che con Schifani avrebbe toccato il suo punto più basso (parla di "muffa" e "lombrichi", come prospettiva per il dopo), poi ricorda che già Lirio Abbate, giornalista sotto scorta per minacce mafiose, aveva rievocato quei trascorsi nel libro "I complici: tutti gli uomini di Bernardo Provenzano da Corleone al Parlamento" datato 2007 senza essere né smentito né querelato (Schifani ha chiesto la bellezza di un milione e trecentomila euro di risarcimento a Travaglio ma non ad Abbate, per il semplice motivo che i libri in Italia non li legge nessuno), né tantomeno additato al pubblico ludibrio.



Il giorno seguente Fabio Fazio si presenta in trasmissione con aria da cane bastonato e legge il comunicato di scuse del direttore RAI, aggiungendovi le sue personali per non aver impedito che fossero formulate "offese" alla seconda carica dello Stato (“Sembrava l’abiura cui erano costretti i dissidenti cinesi durante la rivoluzione culturale”, commenterà Travaglio).



Ma la stranota denuncia di Travaglio non dà l’idea del personaggio Schifani, della sua inquietante caratura, quanto quella ignota ai più di un altro giornalista, assai meno noto nonostante abbia già subito due attentati e sia senza scorta (Gianni Lannes), dalla tribuna di un recente convegno palermitano (intitolato "L’alba di una nuova Resistenza" e promosso dall’ Idv): venuto a conoscenza dell’interessamento di costui per l’ennesimo, gravissimo scempio paesaggistico nell’isola (l’illegale costruzione, sponsorizzata dal Presidente del Senato, della superstrada che attraversa il bosco della Ficuzza, area protetta di interesse non sono naturalistico ma anche archeologico a pochi chilometri da Palermo), Schifani lo ha invitato alla Festa del Ventaglio e gli ha "gentilmente" chiesto di andare in vacanza e non occuparsi più di un opera "utile alla Sicilia" (un vero consiglio da "amico degli amici"). Lannes ha detto no, ha detto a Schifani che è organico alla mafia ed ha spedito il suo articolo alla Stampa di Torino riferendo dell’incontro. Risultato: è stato congelato dal giornale e l’inchiesta non è mai uscita.[1]



Che un personaggio simile possa assurgere alla seconda carica dello Stato la dice lunga sulla qualità invereconda dell’intera classe politica odierna ed in particolare di quelli a cui oggi sono affidati incarichi istituzionali: questo è il problema di fondo del sistema Italia, la ragione vera per cui siamo caduti così in basso.



Da una quindicina d’anni, da quando Tangentopoli ha azzerato la classe politica preesistente e sulla scena s’è fatto avanti Berlusconi, preoccupato unicamente di circondarsi di uomini e donne senza qualità, yesmen che non facessero ombra all’unto del signore, mentre la sinistra è tuttora impelagata fino al collo in una interminabile e defatigante fase di transizione, con la zavorra di personaggi alla D’Alema impegnati solo a seminare di ostacoli (tipo esternazioni non richieste) il cammino già di per sé faticoso e incerto del macchinista di turno, si chiami Veltroni o Bersani, siamo ridotti a rimpiangere la stazza politica di personaggi come Bettino Craxi o come Claudio Martelli, per non parlare dei Berlinguer. Il tocco finale è stata la legge-porcata di Calderoli che annulla ogni possibilità che emergano figure non designate dai "leaders".



Anche il più decerebrato degli elettori del PDL non può non restare come minimo perplesso dinanzi ad una compagine governativa nella quale figurano dei Carneade inutili (nel migliore dei casi) come la Meloni o Rotondi o Calderoli o Bossi o Elio Vito (dei quali non si ricorda nemmeno una iniziativa ministeriale degna di questo nome).



O combinaguai come la Gelmini che si augura che i crediti d’imposta alle imprese le stimolino a fare una ricerca comunque "pro domo sua" e intanto non trova neanche un centesimo per la ricerca universitaria che servirebbe a tutti noi, o la Carfagna (stendiamo un velo pietoso, così copre antiche esibite nudità) o la Prestigiacomo (un vero ossimoro vivente, visto che la ditta di famiglia, la VED, Vetroresina Engineering Development ,  è sotto processo  a Siracusa per trattamento e smaltimento illegale dei rifiuti, oltre che per bancarotta fraudolenta e violazione  delle norme di sicurezza per i dipendenti) , la quale  si precipita per ogni dove a negare il segreto di Pulcinella e cioè che ci siano navi cariche di rifiuti tossici e radioattivi affondate a centinaia, per conto di Enel, Eni, Montedison e quant’altro, dalle cosche calabre o sicule nel Mediterraneo e non solo davanti a Cetraro, a partire dalla jugoslava Cavtav colata a picco nel 1974 davanti ad Otranto, perla del basso Adriatico).



O personaggi folcloristici da varietà televisivo come Ignazio La Russa (l’ex colonnello di AN sempre più devoto a chi gli ha dato la cadrega). O "creativi" alla Tremonti, autore di uno scandaloso "scudo fiscale" (scandaloso non tanto in sé, quanto per i suoi criteri: lo scudo c’è anche all’estero, ma chi riporta i soldi in patria intanto non può nascondersi dietro l’anonimato e poi deve pagare non il cinque, ma il trenta per cento di multa!), per non parlare degli Scaiola (quello che dava del "rompicoglioni " ad un morto fresco fresco come Biagi) per la serie "a volte ritornano", o dei Fitto che fanno salti di gioia quando il giudice li rinvia a giudizio "solo" per corruzione, abuso d’ufficio, peculato e illecito finanziamento al partito, e non anche per associazione a delinquere, concussione e falso! O il neoministro alla salute Fazio promosso per avere fatto un disastro a proposito della prevenzione della febbre suina, col vaccino che arriva quando ormai il picco del contagio è superato ecc. ecc.



Non resta che sperare che il Presidente Napolitano si decida a richiamare con la dovuta severità la classe politica ed il Governo in particolare a non fare scempio ulteriore di questo povero, straziato Paese.











“ Chi ha paura muore ogni giorno,

chi ha coraggio muore una volta sola

Paolo Borsellino





I calabresi sono fatti così. Non conoscono le mezze misure.



Nella stessa persona può convivere talvolta il generoso ed il teppista, quello che ti dà l’anima e quello che ti aggredisce per un piccolo sgarbo o presunto tale (perché di solito sono assai permalosi e la permalosità è indice al tempo stesso di superego e di complesso di colpa o di inferiorità), quello che ti porta il panettone a Natale e quello che ti spara addosso alla Befana, così, tanto per passare il tempo (come quei bulli di paese a Rosarno coi fucili ad aria compressa) o perché magari sei nero e ti sei stufato di fare il nero “sì, badrone, sì, bwana“ e chinare sempre il capo e perciò non gli stai più simpatico, ed allora “fuori tutti!”, “non li vogliamo vedere più neanche in cartolina”, tanto coi neri è più facile, possono diventare a volte dei rompiscatole e far danni, sì, ma mai pericolosi ed armati di tutto punto come i mafiosi, verso i quali troppo spesso si è mostrata non solo una paura alimentata dalla pochezza delle istituzioni, ma persino la reverenza tipica di queste terre verso i padroni di turno.



Non sarebbe forse il caso di utilizzare questa animosità per una causa più degna? Per esempio per aggregarsi ai cortei dei loro conterranei del movimento anti-’ndrangheta che ha l’impareggiabile, commovente slogan “E adesso ammazzateci tutti!” apparso per la prima volta a Locri nel 2005 dopo l’omicidio Fortugno? Qui si parrà la loro nobilitate!



























Il vero problema della querelle Travaglio-Santoro



Il vero problema che la querelle Travaglio-Santoro, con contributi di Paolo Flores d’Arcais, Furio Colombo, Barbara Spinelli e Pierluigi Battista, pone sul tappeto è quella dell’incapacità o, semplicemente, della rinuncia del giornalismo italiano all’equidistanza rispetto alle parti politiche o, peggio, della sua dipendenza strutturale e culturale dalle logiche partitiche o di governo. Siamo cioè lontani anni luce sia dall’ autonomia del giornalismo statunitense, sia dall’attenzione spiccata alle regole di autoregolamentazione, la forte professionalità, la sensibilità all’interesse pubblico del giornalismo dell’Europa centro-settentrionale.

 Questa simbiosi giornalista-politico, questa metamorfosi di giornalisti che prendono parte in prima persona alla contesa politica, fino a identificarsi con la figura stessa del politico, in spregio dei loro doveri professionali verso il lettore o lo spettatore, si è spinta da noi a tal punto che oggi come oggi si arriva a dire che è il direttore del Giornale Vittorio Feltri “a dettare la linea del PDL”: da giornalista (se mai lo è stato) a segretario in pectore del suo partito di riferimento.

 Quindi, quello che Barbara Spinelli, tra gli altri, rimprovera a Porro, con riferimento all’attacco subito da Travaglio ad Annozero: “Non sembrava un giornalista, l’osmosi con le fattezze del politico era totale”, è cosa che riguarda – con poche eccezioni – quasi tutta la classe giornalistica italiana.

 Non per nulla Morando Morandini (quello del famoso, omonimo “Dizionario dei film") ha dichiarato che “fare il critico cinematografico mi ha evitato di dover fare il giornalista , mestiere decaduto e degradato al pari dell’intera società".

 Il vero obiettivo di Porro, vicedirettore del Giornale, non era né quello di vincere il Pulitzer, come ironizza la Spinelli, né soltanto quello di “mostrare a una parte politica di essere suo fedele palafreniere e propagandista, cosa della quale tale parte politica non avrà mai avuto motivo di dubitare, ma soprattutto quello di costringere, a forza di provocazioni su argomenti triti del tutto fuori tema – e perciò ancora più irritanti, il suo bersaglio Travaglio a dismettere il suo quasi proverbiale aplomb, sul quale si basa buona parte della sua credibilità (per lo spettatore di buon senso è più credibile chi espone con pacatezza le sue tesi rispetto a chi urla e sbraita per cercare di far valere le sue ragioni), per mettersi finalmente sullo stesso (basso) piano dei suoi interlocutori. E Travaglio – anziché limitarsi a fargli una risata in faccia, che - da che mondo è mondo - smonta un avversario più di una botta in testa o di una parolaccia - ha abboccato, pentendosene (“forse ero stanco e nervoso per conto mio”).

 Quindi, prima di scrivere a Santoro, doveva scrivere sul suo diario: “Prometto a me stesso che non cadrò più in tentazione”. Certo, non è impresa facile, giacché il lavorio ai fianchi dei provocatori di professione ( i vari Porro, Sgarbi, Belpietro, Ghedini) è estenuante. Ma se Travaglio tiene alla sua credibilità di giornalista super partes (con buona pace dei P.G. Battista che si arrogano tale nomea e la negano agli altri), capace di dire la sua anche – quand’è il caso - alla sua presunta parte politica (ma lui ci tiene a dire di non essere di sinistra, ma un liberale della scuola di Montanelli) - dovrà abbozzare ed ingoiare il rospo. Tanto più che si è scelto come tribuna proprio la trasmissione di Santoro al quale piace da matti mescolare le carte, provocare la bagarre che ritiene il sale delle sue trasmissioni, tant’è che non si perita di invitare personaggi come Sgarbi, che in una puntata del maggio 2008 interrompeva ogni due secondi Travaglio dandogli ripetutamente del “pezzo di merda”: in tale occasione Travaglio saggiamente non reagì . Continui così (se ci riesce).

























E’ vero, i talk-show cosiddetti politici aboliti dal cda RAI, come Porta a Porta, Ballarò, Annozero, hanno mille difetti (sempre meglio comunque del vecchio e costoso spot elettorale ucciso dalla legge sulla par condicio del 2000, che Berlusconi vorrebbe resuscitare col pretesto dei talk-show “pollai” che ormai disdegna, perché è tra i pochi che se lo può permettere).



Per cominciare, il conduttore, figura fondamentale del programma, appare come un semplice “cerimoniere di liturgie concordate e condotte dagli uomini politici” (Mazzoleni), con una compagnia di giro praticamente fissa che si alterna alla ribalta (trampolino ideale per parvenu come la Polverini) portandosi dietro la rispettiva claque, come richiesto esplicitamente dagli stessi conduttori (l’ha rivelato scandalizzato Furio Colombo, sottolineando che negli States se l’ospite di un programma televisivo si presentasse con un codazzo di fan lo metterebbero subito alla porta). Ed è veramente un fastidioso, deprimente spettacolo vedere non solo l’ospite che , con tempi e modi da attore consumato, appena si vede inquadrato, usa tutto il suo repertorio di mimica facciale e gesti per commentare a modo suo le parole del suo avversario , ma anche quei tizi del pubblico ( in teoria neutrale) che si piazzano sta gente alle sue spallespalle dell’oratore di turno eche, dopo aver controllato anche loro di essere inquadratia nello schermo, annuisconoe con convinzione alle parole del lorosuo mentore, battonoe  le mani freneticamente a sottolineare i passi salienti del suo intervento, e talvolta si agitano ed infervorano ancor più di questi. Sono tattiche risapute, consapevolmente applicate,  ma nondimeno quasi a utili anche a rappresentarere in modo plastico la natura servile di questo popolo.



Giornalisti e politici poi appaiono un tutto indistinto, dove spesso sono i primi ad apparire più faziosi, indisciplinati e di lingua sciolta (per usare un eufemismo) dei secondi (la solita dipendenza strutturale e culturale dei giornalisti italiani dalle logiche partitiche o di governo che produce questo strano ircocervo del giornalista-politico - esemplare sconosciuto al giornalismo anglosassone - che fregandosene dei suoi doveri professionali verso il lettore o lo spettatore assume le fattezze del politico di professione, al punto che oggi come oggi si arriva a dire che è il direttore del Giornale Vittorio Feltri “a dettare la linea del PDL”: da giornalista (se mai lo è stato) a segretario in pectore del suo partito di riferimento.



Comunque, nonostante tutto, questi talk-show, cui si attribuisce quell’effetto di spettacolarizzazione spinta della politica e dei politici che è stata definita “politica-pop”, sono, per chi non legge i giornali, l’unica fonte di informazione politica, una fonte oltretutto meno paludata, dunque in qualche misura più veritiera perchè meno riducibile alle veline ed ai pastoni dei telegiornali” (nei quali più facilmente può passare una perla come quella del TG1 di Minzolini sul “Mills assolto”). 



Il centro destra (coi radicali in veste di utili idioti) che nell’immediato si giova di questo azzeramento dei talk-show in quanto ora l’unica informazione politica viene dai telegiornali dove Berlusconi occupa un terzo del tempo, alla lunga finirà per danneggiarsi, se continua con questa politica censoria, giacché incoraggerà l’astensionismo (che danneggia in primis la destra), in quanto questi programmi, specie quelli che nei quali si mescolano contenuti politici scottanti e l’intrattenimento spettacolare (esempio tipico Ballarò con la copertina di Crozza), sono in grado di riconciliare tanti spettatori/cittadini altrimenti distanti e disinteressati con la politica ed i politici medesimi. 



Commenti : pv21 (xxx.xxx.xxx.236) 25 marzo 19:33

Perfino l’Agcom ha dovuto prendere atto che la "par condicio" del cavaliere è una strategia a due tempi. Prima si urla contro i programmi d’informazione per ottenere l’oscuramento. Poi si monopolizza i TG nazionali (RAI e Mediaset) con i "monologhi" del cavaliere e dei suoi accoliti. TG1 e TG5 si sono beccati una multa di 100.000 euro per lo "squilibrio tra PDL e PD". Intanto la spesa per alimenti è scesa in un anno di oltre il 3%. Intanto una TAGLIOLA TRIBUTARIA corrode il potere d’acquisto di dipendenti e pensionati. Con buona pace dei dibattiti in TV .... (di più => http://forum.wineuropa.it/

           deep (xxx.xxx.xxx.211) 25 marzo 21:50

E noi siamo qui a guardare un piazza che protesta contro le intercettazioni, perché la privacy in un momento di crisi economica e politica come questo, è in cima ai pensieri di tutti gli italiani.
Ma veramente a qualcuno frega qualcosa di essere intercettato? La privacy? dopo che all’aeroporto di Heathrow in U.K. hanno messo gli scanner? dopo che su facebook la gente mette tutto di se? dopo che ai TG fanno vedere ogni cosa? ma davvero sono così importanti per il popolo italiano? Berlusconi sta cercando di risolvere i SUOI problemi, non quelli dell anazione dovremmo comprenderlo tutti.

























Il ritorno al potere nel 2008 dei cosiddetti “moderati” di Berlusconi & Co., ai quali i comunisti fanno schifo, mentre coi fascisti ci vanno a nozze (caso unico in Europa occidentale d’una destra alleata con l’estrema, ossia Alternativa Sociale di Alessandra Mussolini, eletta alla Camera nelle liste PDL: «Meglio fascisti che froci!» è il suo slogan; con il Msi-Fiamma tricolore di Luca Romagnoli: «Semplicemente non si può sostenere che il fascismo sia stato un male assoluto»; la Destra di Storace e il Movimento per l’Italia della Santanchè, oltre che la xenofoba Lega Nord con le sue camicie verdi che rievocano le camicie nere ed i suoi proclami di marcia su Roma dalle valli bergamasche) sembra aver creato il contesto giusto per un ulteriore salto di qualità del neofascismo nostrano.



Una realtà in crescita - specie da quando, a settembre 2008, Fini dichiara che “i resistenti stavano dalla parte giusta ed i repubblichini da quella sbagliata" provocando la diaspora di molti ex aennini - che coinvolge circa 480 mila elettori, di cui ben 150.000 giovani sotto i trent’anni , a dimostrazione che tra le nuove generazioni il fascismo è tornato di moda.



Una realtà che ha prodotto tra 2005 e 2008 qualcosa come 330 aggressioni fasciste e 160 atti vandalici inneggianti al nazifascismo e che va gradualmente avvicinandosi ai picchi degli anni Sessanta. La cosa ha riverberi inquietanti anche in terre finora immuni dal fenomeno, attualmente concentrato soprattutto in tre aree geografiche quali Lazio, Lombardia e Veneto.



A Parma si segnala l’apertura ad aprile 2009 della neofascista Casa Pound, nata nel 2008 come frutto di una scissione della Fiamma Tricolore, che si rivolge soprattutto ai giovani oltre i diciotto anni; mentre il lanciatissimo “Movimento giovani padani” leghista, assai radicato nel parmense, specie a Sorbolo, punta a sfondare soprattutto tra gli studenti delle superiori (14-18 anni) - per inciso il leader del locale Movimento sociale Fiamma tricolore è un professore di lettere del “Bodoni” Massimo Zannoni -.



A Casa Pound vanno ascritte iniziative estemporanee come il blitz notturno alle concessionarie FIAT o nella via intitolata a Tito o contro la sede di Rifondazione comunista, la manifestazione col loro leader nazionale Iannone, i manifesti a iosa sui pali dell’elettricità ed i cassonetti del quartiere Montanara e le fiaccolate in ricordo delle vittime delle foibe (il 10 febbraio, data voluta dalla destra per controbilanciare la festa del 25 aprile, alla quale Berlusconi non ha mai partecipato fino all’anno scorso) .



Niente di più, finora, ma vanno tenuti d’occhio, viste le intemperanze (a usare un eufemismo) dei “casapoundisti” di altri luoghi: per dirne una, il 13 marzo un nutrito gruppo di neofascisti di Casapound e Blocco Studentesco provenienti da tutta Roma e provincia hanno aggredito con pugni, calci, cinghiate, caschi ed altri oggetti contundenti studenti e studentesse della Università romana di Tor Vergata impegnati in un volantinaggio antifascista, mandandone all’ospedale sette con nasi e braccia fratturate e traumi vari.



Nelle edicole di città si vedono i calendari con il Duce nelle varie pose buffonesche, se ti affacci ad una galleria d’arte in viale Mentana appare in bella mostra un’opera di Romano Mussolini con un gerarca che fa il saluto romano… e forse, di questo passo, vedremo anche a Parma le bottiglie di lambrusco con le etichette effigianti Benito Mussolini o Hitler che alcuni anni fa distribuì, con successo, una ditta di Treviso e che si vedono ancora oggi in alcuni autogrill .



A ciò si aggiungano: il diluvio di commenti squadristici da Mississipi Burning sulla Gazzetta di Parma online (diventata una specie di palestra dei propagandisti della cultura dell’odio) a ogni sia pur piccolo fatto di cronaca che coinvolga extracomunitari; il raid dell’aprile 2006 contro il centro islamico di borgo San Giuseppe (vengono tracciate sui muri delle svastiche e la scritta “Via da Parma”); l’aggressione dell’aprile 2007, sul ponte Bottego da parte di due giovani sui 20-25 anni ai anni di un extracomunitario di 47 anni, di professione imprenditore, al grido: “Da oggi ve ne dovete andare!” (viene gettato a terra e rapinato dei soldi che aveva in tasca); l’episodio recente che ha visto coinvolto il giovane Bonsu (che Bevilacqua definisce “squadrista più che razzista”) e prima ancora la prostituta nigeriana; forse l’incendio doloso che ha distrutto la Ca’ Rossa degli anziani sul torrente Parma in via Europa (sede di un circolo dell’Arci Pesca).



E mettiamoci pure quel che è accaduto da Battei mercoledì 17, quando stagionati ex repubblichini e giovani camerati hanno monopolizzato la serata di presentazione del volume del giornalista del Corsera Antonio Carioti su “Gli orfani di Salò” (un saggio sui giovani neofascisti nell’immediato dopoguerra introdotto dal presidente del CENTRO STUDI ITALIA di Reggio Emilia, che si occupa per statuto di ricerche storiche sulla Repubblica sociale di Salò e il Movimento Fascista).



Per inciso, Carioti sembra aspirare a diventare una novello Pansa - il cui “revisionismo” è stato peraltro già sputtanato come una “acritica riproposizione delle discutibili tesi del missino Giorgio Pisanò dall’autorevole saggio di Contorbia sul Meridiano Mondadori dedicato al Giornalismo 1978-2001 – ma nel frattempo sembra un apprendista stregone evocatore di forze oscure, al pari di Montanelli prima del suo tardivo ripensamento che ne fece addirittura un’icona della sinistra.



Come considerare tutte queste manifestazioni in una città medaglia d’oro della Resistenza?

Per ultimo, il caso della lapide per i caduti della RSI alla Villetta.



Dobbiamo seriamente cominciare a preoccuparci, ricordando un passato non così lontano, quando qui come in tutta Emilia lo squadrismo fascista imperversava (per tacere del più recente omicidio di Mariano Lupo nel 1972)?

















































La piccola borghesia moderata e xenofoba al potere: l’ineluttabile deriva italica




 “La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini

hanno preferito le tenebre alla luce,

perché le loro opere erano malvagie”

Vangelo S. Giovanni 3,16-21


E’ paradossale la meraviglia dei progressisti o presunti tali per la perdurante permanenza al potere di un affabulatore populista e cialtrone.

Dal 1945 al 1981 (36 anni!), si sono susseguiti ininterrottamente al governo del paese esponenti di un solo partito, quello democristiano, soprannominato “la Balena bianca” in riferimento all’inafferrabile cetaceo di Melville.

E anche dopo le esperienze di governo del repubblicano Spadolini (1981) e del socialista Craxi (1983), De Mita e l’immarcescibile Andreotti tennero a galla il partito fino al ciclone di Mani pulite del 1992.

Dinanzi a tali precedenti, il presidente Berlusconi è un pivellino, essendo nato politicamente verso la fine del 1993, con un’esperienza di governo, al momento, di “soli” 7 anni e sette mesi complessivi.

Ad ogni modo l’attuale situazione politica ha caratteristiche precipue che prescindono dalle risorse di tale discutibile personaggio, destinato prima o poi a lasciare la scena per ragioni anagrafiche, caratteristiche con cui la sinistra non sembra aver ancora fatto i conti.

Anzitutto il consenso alla Lega nord. Sorta nella seconda metà degli anni ottanta per raccogliere un ideale testimone dalla parte più retriva e minoritaria di un partito (la DC) che – esaurita la sua spinta propulsiva – si avviava ormai al tramonto, vede ora allargarsi il suo elettorato per effetto della massificazione, dell’appiattimento di classi e ceti sociali (con la mitica classe operaia diventata ormai del tutto marginale, sprofessionalizzata, precarizzata ed in via di esaurimento nei sempre più automatizzati e frammentati processi produttivi) in un tutt’uno indistinto ed amorfo di piccoli borghesi e pseudo-proletariato postindustriale con una propensione irrefrenabile sia all’evasione ed elusione fiscale (favorite peraltro dalla quantità di lacci e lacciuoli burocratici che tarpano le ali soprattutto alle piccole imprese) sia ad un consumismo o quantomeno un’apparenza consumista dettati spesso da puro esibizionismo o da rivalsa verso una storia famigliare di privazioni (com’è noto, l’Italia è il paese col più alto numero di telefoni cellulari e di autovetture per abitanti al mondo, pur non essendo certo il primo paese al mondo per reddito pro-capite, e questo per molti è sicuramente motivo di vanto, anziché di riflessione sulla loro deriva esistenziale).

I voti di questo coacervo di futuro ceto medio , gretto, egoista, individualista, refrattario agli ideali riformistici ed etici , assolutamente indifferente alle disavventure giudiziarie di questo o quel politico, sensibile alle sirene del virulento razzismo anti-immigrati del Carroccio, non dissimile da quello subito, almeno fino alla fine degli anni settanta, dalla nostra emigrazione interna dal Sud al Nord, sono inesorabilmente fagocitati , anche al di là del suo tradizione territorio di coltura, dalla Lega, apparentemente affrancatasi nel frattempo dalle velleità secessioniste in nome di un’inesistente razza padana .

Quanto ai progressisti, sembrano essere afflitti oggi come oggi da entrambi i difetti principali per una classe politica, la disonestà e l’ingenuità (hanno governato per nove dei 16 anni dal 1994 ad oggi senza risolvere il macroscopico conflitto d’interessi di Berlusconi, lasciando oltretutto che coltivasse con cura il proprio culto della personalità: evidentemente Machiavelli non è mai rientrato nei loro piani di studio).

Quanto a candore, del resto, non sono da meno nemmeno i cosiddetti intellettuali progressisti. La domenica delle elezioni regionali, su la Repubblica esce un fondo di Scalfari intitolato: "Una scelta impegnativa di saggia fermezza” che si conclude così: “Invochiamo saggezza e responsabilità e ci auguriamo che sia questo il criterio che gli elettori adotteranno". Viene da chiedersi in che mondo viva Scalfari, se si sia mai guardato intorno. Si rilegga dunque cosa ha scritto Pietro Citati sullo stesso giornale qualche giorno dopo: “Il sentimento più diffuso, oggi in Italia, è la vergogna. Quasi tutto il Paese sente di essere decaduto, corrotto, degradato, giunto al punto estremo della volgarità e della turpitudine; sull’orlo di una stupidità che si allarga ogni giorno senza riparo …”.

Il difetto degli intellettuali alla Scalfari, che si sentono gramscianamente organici ad una forza politica, è che fanno prevalere sempre, fino alla cecità, l’ottimismo della volontà (o dei loro pii desideri) sul pessimismo della ragione. 





 


 


*Gli errori di una Chiesa chiusa ancora nel suo Medioevo


 


 


Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre,
non la tua conversion, ma quella dote
che da te prese il primo ricco patre
!


(Dante Alighieri, Inferno, Canto XIX, 115 e sgg)




"Spesso si ha l'impressione che

la Chiesa navighi col vento contrario

della Storia, ma il Signore è presente"

J. Ratzinger



Lo scandalo pedofilia – tra i più gravi e scabrosi di una storia millenaria pur colma di chiaroscuri – dilaga nel mondo intero, in zone diverse e lontane tra loro, incidendo come una profonda metastasi, colpendo imparzialmente sia semplici sacerdoti che alte sfere della Chiesa cattolica, dopo decenni di colpevole omertà.

Un altro scandalo coinvolge il dicastero vaticano più importante e delicato, ma anche il più ricco e apparentemente spregiudicato.

 Propaganda Fide in teoria dovrebbe amministrare le missioni nel Terzo Mondo, testimonianza dell’amore della Chiesa per i più poveri e derelitti della Terra, ma pare che, dall’alto di una montagna di euro (nove miliardi) in beni immobili, si sia molto impegnata in patria in una missione più terra terra, un do ut des con Vip e potenti nostrani, all’insegna del “io do una casa a te e tu fai un favore a me", previo sfratto di vecchi inquilini meno facoltosi e importanti dei nuovi, con un cardinale di primo piano come l’ex papa rosso Crescenzio Sepe indagato per corruzione e associato ad una cricca di affaristi senza scrupoli.

 Sembra di tornare ai tempi bui dello scandalo del Banco Ambrosiano e dello IOR, istituto opere religiose, il cui buco di 1200 miliardi di vecchie lire fu opportunamente insabbiato (e papa Woytila in tale occasione appoggiò lo spregiudicato Marcinkus, aprendo la strada alle future speculazioni).

 Di fronte a tutto ciò, non bastano le energiche prese di posizione contro i preti pedofili, un po’ tardive e forse fuori tempo massimo, di papa Ratzinger, o la cacciata – questa volta tempestiva - di Sepe dal suo incarico.

 Bisogna andare alla radice dei problemi: la Chiesa deve fare uno sforzo, certo colossale, ma necessario, pena una gravissima crisi di identità dalle conseguenze imprevedibili (una delle quali potrebbe essere il prevalere anche numerico dell’islam) per colmare almeno in parte la distanza rispetto alla Chiesa delle origini.

 E’ ora che la Chiesa esca dal suo lungo Medioevo e riscopra l’originario messaggio evangelico, nel suo stesso interesse.

 Basta con gli orpelli ed i fasti delle sue cerimonie, dei suoi porporati ingioiellati, basta fare l’occhiolino a ricchi e potenti (come nel 1997 a Calcutta, quando ai funerali di madre Teresa i poveri cui lei aveva dedicato la sua vita furono cacciati dal tempio affollato solo di teste coronate e capi di stato con relative first lady).

 Basta con l’assurdo, innaturale celibato sacerdotale cattolico, introdotto nel 1200, cui mai Gesù fa cenno, cercando di salvare il salvabile prima che la crisi delle vocazioni desertifichi conventi e seminari: nelle nazioni protestanti l’istituto famigliare ha retto alla prova del fuoco, non ha diminuito affatto il fervore apostolico della missione pastorale ed ha evitato gli spettacoli miserandi e squallidi che affliggono il cattolicesimo attuale.

 Basta con la discriminazione di genere verso le donne (assente anch’essa nell’apostolato di Gesù) cui è vietato il sacerdozio (anche qui protestanti ed anglicani docent).

Certo, pensando alla fine oscura di papa Luciani ( la cui vicenda  sembra profeticamente anticipata nel poema di Giuseppe Giusti  “Il papato di prete Pero” , in cui immagina un buon prete «lieto, semplice, alla mano» che diviene un pontefice in grado d’incarnare il perfetto ideale evangelico, ma che viene avvelenato con l’arsenico dai potenti corrotti ), c’è da dubitare che qualcosa possa mai cambiare dentro le mura leonine. 

Nostradamus in una delle sue centurie profetiche sembra predire che il papa attuale, ormai anziano, sia destinato ad essere l’ultimo esponente nominato al Soglio pontificio, avviato ad un futuro di anarchia e forse ad un’implosione. Non è del tutto escluso che, nelle attuali condizioni, perdurando l’oscurantismo cattolico, la profezia si avveri.







Wikileaks docet: la guerra in Afghanistan? Un disastro completo




Dai più di 90mila documenti e rapporti segreti esplosivi di militari e uomini dell’intelligence del Pentagono sulla guerra in Afghanistan dal 2004 ad oggi consultabili online grazie all’ imponente scoop di Wikileaks (organizzazione attiva dal 2006 nella diffusione di notizie segrete), emerge un quadro desolante che evoca la disfatta americana in Vietnam: a nove anni dall’inizio del conflitto all’indomani dell’attacco alle Torri Gemelle, l’opinione pubblica americana ed internazionale - abbindolate finora da una propaganda fatta di numerose, plateali e reiterate menzogne ed omissioni istituzionali che i mass-media hanno puntualmente avvalorato senza mai riuscire e forse nemmeno tentare di bucare questo muro di gomma - può finalmente rendersi conto che la situazione sul campo è molto peggiore di quanto si era cercato di far passare e che dunque la missione ISAF è fallita o sull’orlo del tracollo definitivo.



In dettaglio, i talebani , che tra l’altro dispongono di micidiali missili terra-aria Stinger (made in USA e regalati ad Osama quando combatteva i sovietici , controllano zone molto ampie del territorio afghano ed i loro attacchi alle forze Nato sono in continuo, esponenziale aumento; i servizi segreti pakistani fanno il doppio gioco, anzi sono alla guida degli insorti afghani, organizzandone gli attacchi suicidi e gli attentati contro esponenti del governo Karzai, nonostante il miliardo di dollari annuo ad Islamabad per combatterli, anche se non si è ancora trovata la prova di un collegamento diretto con Al-Quaida; la tanto sbandierata formazione delle forze di sicurezza afghane è poco più di una farsa; i civili continuano a morire come mosche sotto i colpi della coalizione nel silenzio generale (le fonti ufficiali parlano in tutto di 175 civili uccisi soprattutto nei raid con i droni, gli aerei senza pilota che partono dal Nevada, o fulminati con gli elicotteri o da terra perchè scambiati per terroristi: una cifra probabilmente al di sotto della realtà, visto che nei documenti esibiti da Wikileaks si parla di centinaia di vittime; altri 2000 civili risultano vittime degli ordigni artigianali ma micidiali dei talebani). Insomma, un disastro completo, dal quale non si vede come venir fuori.



Wikileaks ha realizzato, dunque, grazie a fonti rimaste anonime, uno degli scoop più imponenti dell’intera storia militare americana, paragonabile (fors’anche negli effetti) a quello che rivelò le fallimentari strategie americane in Vietnam. Si comprende dunque la stizza dell’amministrazione USA (che parla di "notizie riservate che mettono in pericolo le vite degli americani e dei loro alleati" , anche se "non ci sono informazioni riguardanti operazioni attualmente in corso", come spiega il guru dell’organizzazione Julian Assange). In realtà, l’amministrazione Obama, che ha confermato o addirittura rincarato le scelte di quella precedente, anche in termini di comunicazione, si trova ora di fronte ad una drammatica crisi di credibilità. Gli americani hanno scoperto che Obama mente esattamente come mentiva il suo esecrato predecessore: davvero un bel risultato, per il recente vincitore del premio Nobel per la pace!

C’è poco da fare: quando i “paria” di ieri accedono al potere, o ad un diverso livello sociale, spesso si preoccupano soprattutto di rassicurare tutti sulla loro “normalità” , mostrano cioè un conformismo a tutta prova che nasce da un residuo complesso di inferiorità.

Ma qual’è l’intento di fondo di Wikileaks? Lo spiega efficacemente Assange in un’intervista pubbicata su Panorama di agosto: "Io un pericolo? Gli uomini veramente pericolosi sono quelli responsabili delle guerre. E bisogna fermarli!". Come dargli torto?

 


 


La finta indispensabilità dell’iPad



Invasione degli Apple store per l’Ipad: numerosissime persone hanno passato l’intera notte precedente l’apertura delle vendite fuori ai negozi per non rimanere a mani vuote". Così titolavano i giornali del 28 maggio scorso.



Il Tablet iPad dell’Apple - l’ultima scommessa tecnologica di Steve Jobs, accompagnata dal solito, scontato battage pubblicitario planetario, compresa la presentazione-monstre del 26 gennaio a San Francisco - è in vendita da fine maggio in tutto il mondo, a oggi ne sono stati venduti oltre 3 milioni (120mila in Italia) e per fine anno le previsioni parlano di 8 milioni (200mila in Italia).



A leggere i giornali, i cui articoli mal si distinguono da veri e propri banner pubblicitari, si tratterebbe di qualcosa di simile ad una scatola magica: insieme uno smartphone (ma solo sui modelli più avanzati), un computer, un lettore di musica, video, giornali e libri elettronici, e una console per videogiochi portatile, che “promette di "liberare" definitivamente internet dal pc, i romanzi dalle librerie, i giornali dalle edicole e molto altro"…



Ad andarci a fondo, viene fuori che l’iPad può fare molte cose, ma non sembra in grado di fare qualcosa molto meglio di altri apparecchi - assai più economici - già presenti sul mercato. “La prima impressione” – recita Altroconsumo - “è che questo sia una specie di iPod Touch gigante, e non sembra scontato che il mondo ne abbia bisogno, men che meno che sia disposto a pagarlo 500 euro”.



Confrontato ad altri prodotti multimedali, l’Ipad non regge. Sembra fare concorrenza soprattutto ai netbook, ma è probabile che questi reggano il colpo, perlomeno fino a quando Apple non avrà seriamente migliorato il prodotto, nonché ridotto i prezzi (un netbook oggi si può trovarlo a partire da 200 euro). Con smartphone e lettori mp3 non c’è gara, perché l’ iPad è troppo grande (non è un apparecchio veramente portatile, nel senso di un apparecchio che si porta sempre con sé come un telefono). Con un lettore di e-book, nemmeno. Lo schermo - pur essendo probabilmente un ottimo schermo - è pur sempre lo schermo di un computer, con tutti i problemi che ne derivano in caso di lettura prolungata, mentre un lettore di ebook fornisce un’esperienza di lettura molto simile a quella della carta, non fa stancare gli occhi, si legge perfettamente anche in pieno sole (non è retroilluminato come l’Ipad) e la batteria dura per una settimana (anzichè 10 ore). Per non parlare dei prezzi. Controprova: il lettore kindle dell’Amazon sta reggendo bene nelle vendite, nonostante previsioni catastrofiche…



Eppure c’è un sacco di gente che pare non ne possa fare a meno.



Un discorso analogo si può fare per i nuovi televisori HD ad alta definizione, magari quelli sottilissimi di ultima generazione a tecnologia LED o addirittura 3D. La gente si affretta a buttar via i propri televisori col tubo catodico per le nuove meraviglie tecnologiche. Salvo poi accorgersi che un televisore HD non gli serve a niente, perché non ci sono programmi televisivi in alta definizione (tranne qualcosina su Sky), mentre i soliti programmi Tv e i film in DVD si vedono addirittura peggio coi televisori in HD. 



Eppure c’è un sacco di gente che pare non ne possa fare a meno.



Dunque, non solo tutta questa gente insegue ad occhi chiusi e con dedizione degna di miglior causa l’ultimo feticcio consumistico, ma non si prende neanche la briga di informarsi prima per non rischiare di buttar via i propri soldi (o quelli di mamma e papà, che – è notorio- si fanno molto influenzare dai loro pargoli, apparentemente più indifesi degli adulti di fronte alle sirene della pubblicità).



Vien voglia quasi di fare una proposta di legge: obbligarli tutti quanti a farsi un anno di volontariato in Africa. Laggiù, coloro che da noi non sembrano in grado di rinunciare nemmeno al più insignificante capriccio, si troverebbero finalmente in mezzo a gente che spesso deve rinunciare a tutto, persino al cibo quotidiano, persino alla vita (laggiù si accetta che la morte sia parte integrante della vita e non si cerca di negarla – come da noi - cercando di espellerne dalle nostre vite il concetto stesso), e lo fa senza recriminazioni, senza piagnistei, con estrema dignità.



E forse allora capirebbero, o almeno – che già sarebbe qualcosa - si asterrebbero dalle manifestazioni più aberranti della shoppingmania.



Su You tube circola il video di un tizio che distrugge in diretta un iPad appena comprato: al di là delle intenzioni dell’autore, un simbolico gesto liberatorio del giogo consumistico che spesso ci ottunde il cervello.







 


 


 


 


 


 


Parentopoli all’Università, una storia italiana



"Saresti disposta a diventare docente di un’ipotetica facoltà dedicata al pensiero dell‘economista analizzato nella tua tesi di laurea?".

Chissà quanti laureandi, alla fine della seduta di laurea, si sono sentiti fare una proposta simile a quella - allettante e gratificante - che il rettore dell’università San Raffaele di Milano don Verzè, amico del cuore di Berlusconi, ha fatto alla figlia del Cavaliere, Barbara, che all’età non verdissima di 26 anni ha conseguito la laurea breve il 21 luglio scorso con una tesi su Amartya Sen e votazione finale di 110 e lode. Ad occhio e croce, pochini.

Per la verità, l’accesso facile alla docenza di certi laureati col nome giusto è una costante soprattutto nelle università del Centro-Sud, come provano i tanti i casi raccolti da Nino Luca, di «Corriere.it», in un libro appena uscito da Marsilio: "Parentopoli. Quando l’università è affare di famiglia". Un reportage durissimo e spassoso su uno degli aspetti più controversi dell’università, quello dei concorsi sospetti. Che troppo spesso finiscono col consegnare la cattedra a mogli, figli, cognati, amici e amici degli amici.



Alle perplessità di chi non riesce a capacitarsi di come si possa essere circondati da tanti parenti, gli interessati (rettori e presidi) replicano con la stessa disinvoltura e assenza di scrupoli con cui pilotano i vari concorsi, arrivando in alcuni casi a spiegare il fenomeno con un "quid", una "forma mentis", quasi un fattore genetico che caratterizzerebbe i fortunati prescelti in virtù della comune appartenenza ad un medesimo ceppo familiare, o con cui regalano lauree ad honorem a destra e a manca, oltre che a sé stessi (pratica in cui s’è distinto particolarmente l’ex rettore di Bologna Fabio Roversi Monaco che ne ha distribuite ben 160 a gente varia, da Madre Teresa di Calcutta a Valentino Rossi, tenendone appena undici per sé).
Ogni tanto la magistratura butta un occhio in queste strane situazioni, indagando e talvolta condannando per abuso d’ufficio rettori e presidi impegnati in concorsi pilotati nei quali a volte sono persino esibiti falsi certificati per favorire il raccomandato di turno oppure fatti fuori con veri e propri salti mortali logici candidati dotati di tutti i requisiti necessari, in barba ad ogni criterio meritocratico ("Era il migliore, l’abbiamo fregato", gongola in un’intercettazione Paolo Rizzon, ordinario di cardiologia di Bari, in una università che le classifica danno in testa per nepotismo). L’esito finale di queste pratiche non può che essere lo sfascio dell’università italiana (non a caso per trovare la prima università nostrana nella lista delle migliori del mondo bisogna scendere in classifica fino al 192 esimo posto).



Si dirà: niente di nuovo sotto il sole del Belpaese, il cui motto-principe-degno di figurare sul Tricolore - è quello di sempre: "Tengo famiglia ". E forse non basteranno le indagini della magistratura per eliminare o anche solo arginare un fenomeno così diffuso, ennesima espressione del nostro "familismo amorale".

Commenti all'articolo


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di pv21 (xxx.xxx.xxx.45) 29 luglio 11:27

Berlusconi voleva cambiare l’Italia e la Gelmini sponsorizza la cultura berlusconiana. Qualche esempio. Il Cavaliere si è visto impartire la comunione da divorziato e risposato. Con il suo "piano casa" è stato autorizzato dalla Giunta Sarda ad ampliare Villa Certosa ed a costruire nuovi bungalow. Vanta di avere il record mondiale di rinvii a giudizio ed i suoi paladini si danno da fare per non essere da meno. Non c’è "legalità" Finiana che tenga quando il Consenso SURROGATO di chi ha fede e ottimismo trova alimento perfino nel Dossier ARROGANZA ... 



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di Renzo Riva (xxx.xxx.xxx.153) 31 luglio 01:14

La scuola "democratica" fa rimpiangere l’università dei "baroni" del sapere.

EFSA: più dannosa che inutile



Dice qualcuno: è l’ente più inutile del mondo. Magari fosse solo inutile! Il guaio è che l’EFSA, l’autority alimentare europea che con tanta pompa si appresta ad insediarsi nell’edificio più rappresentativo di Parma, è anche dannosa!

Becchina del prodotto tipico”, l’ha definita più o meno la scienziata indiana Vandana Shiva, di passaggio a Parma.

Decretando sempre e comunque la salubrità del prodotto industriale e fissando standard fasulli di sicurezza, non solo fa trionfare sulla nostra tavola probabili veleni (con relativi effetti sull’aumento di obesità, diabete, cancro e malattie cardiovascolari), ma infligge il colpo di grazia al già moribondo prodotto “locale”, frutto della memoria storica, della coscienza popolare di un territorio, della sua creatività, che fatica a rientrare in tali standard.

Esso si produce in tempi lunghi e lenti, senza automatismi, con scarti notevoli e con meno possibilità di frodi e manipolazioni.

Ma ormai snobbato dalle massaie che gli preferiscono il cibo “industriale” (fra l’altro quasi tutto appannaggio in Italia delle multinazionali estere, dalla Unilever alla Kratf, dalla Danone alla Nestlè).

Che arriva al supermercato carico della fama pubblicitaria, del fascino della sua confezione accattivante (sulla quale spesso si fa uno spreco del tutto ingiustificato dei suffissi “eco” o “bio”), del prezzo apparentemente invitante (in realtà un cibo carissimo - in special modo quello americano, espressione della globalizzazione della cattiva cultura alimentare di quel popolo, esemplificata dai fast-food McDonalds, dalla Coca-Cola, dalla Pepsi -  per i danni che provoca all’ambiente, agli agricoltori malpagati e alla salute di tutti ) e dell’immancabile viatico dell’EFSA.

Come non bastassero le pressioni che l’Organizzazione mondiale del commercio, egemonizzata dagli Usa, esercita per la liberalizzazione degli Ogm (organismi geneticamente modificati) che l’Onu ha viceversa regolamentato con il Protocollo sulla biosicurezza ( il pretesto è quello di risolvere con gli ogm il problema della fame nel mondo). 

Ma ecco un elenco sommario delle “perle” marcate EFSA tratto dal libro “Così ci uccidono" di Emiliano Fittipaldi, a riprova della sua più che probabile sudditanza agli interessi di pochi grandi gruppi, come denunciano da tempo i soliti “disfattisti” (tra gli altri, quelli di Legambiente e l’eurodeputato francese Jovè). Nel 2007, appena un magistrato buontempone promuove un’indagine su alcune confezioni di latte per l'infanzia di Milupa e Nestlè ove s'è riscontrata la presenza dell'Itx, una vernice tossica usata sulle confezioni per fissare l’inchiostro delle etichette, intervengono gli scienziati dell’EFSA: “Niente paura, l’Itx non interagisce con il Dna delle cellule dei bimbi“. Il giudice archivia, sia pur con qualche dubbio: “La perizia non ha escluso la tossicità in caso di assunzione per lunghi periodi”. Ai bambini che hanno bevuto quel latte ed ai loro genitori non resta che incrociare le dita. Sempre nel 2007 l'EFSA dà via libera ad additivi come la tartrazina (E102), un colorante giallo al catrame di carbon fossile che viene aggiunto a bevande, zuppe , cereali ecc. , vietato in Svizzera e altrove perché accusato di provocare allergie, asma e riniti. O come l’eritrosina, usata nelle ciliegie candite, vietatissima in Usa. O come il nitrito di sodio (sospettato di creare problemi al fegato e all’apparato cardiocircolatorio) bandito all’estero, ma non nei 27 paesi dell’Unione europea. "Non ci sono prove per vietare gli additivi sospetti", s'affrettano a dichiarare gli scienziati dell'Authority. Così per l'aspartame, un dolcificante artificiale assai diffuso: per gli scienziati della fondazione Ramazzini è un temibile killer, un agente cancerogeno pluripotenziale, capace di far sviluppare linfomi, leucemie, carcinomi renali e dell’uretra; per quelli dell'EFSA, manco a dirlo, non fa male a nessuno: “ le conclusioni allarmistiche sono frutto di confusione e difetti di interpretazione”.

Nel 2008 scoppia il caso della carne irlandese alla diossina (novanta partite per un totale di duecento tonnellate di carne di maiale che si teme contaminate dalla diossina tramite il mangime). Interviene l'EFSA: "Nessuna conseguenza sulla salute per chi avesse mangiato quella carne durante tutto il periodo dell'emergenza". Ma allora perché è stata decretata l'emergenza, sguinzagliati migliaia di uomini sulle tracce di quelle partite di carne, sequestrati migliaia di pezzi in tutta Europa? Boh ! Ultimissime dall’EFSA: la promozione a pieni voti sia di tutta una classe di additivi alimentari sospetti a base di fosfati, usati come addensanti e stabilizzanti, in quanto “i test tossicologici, nonché quelli di rischio allergie, su questo «nuovo ingrediente» alimentare non hanno evidenziato conseguenze negative anche in caso di frequente utilizzo “; sia del bisfenolo A (una sostanza chimica largamente utilizzata per produrre, tra le altre cose, i biberon, classificata come perturbatore endocrino e sospettata di nuocere allo sviluppo dei neonati, soprattutto se i biberon vengono riscaldati, come si usa, e per questo vietata in alcuni Paesi come Danimarca, Francia Canada e parecchi stati Usa), definito invece dall’EFSA, tanto per cambiare, “sicuro in piccole dosi” .

 Si direbbe che il motto dell’EFSA sia quello del Pangloss di Voltaire: "Va tutto bene e viviamo nel migliore dei mondi possibili". Tutto questo mentre i sequestri da parte delle forze dell'ordine di alimenti scaduti, avariati, adulterati, contaminati aumentano a dismisura (più 147 per cento nel 2008 rispetto all'anno prima).

In queste condizioni ogni prodotto che ci viene ammannito può essere una “mostruosità gastronomica”, non certo solo gli esotici “salami cinesi” o “spaghetti di soia giapponesi”, come vuol farci credere qualcuno (vedi l’articolo di Pino Agnetti sulla Gazzetta di Parma, che ovviamente, nel suo ipocrita panegirico della scienziata indiana, non cita mai, nemmeno di sfuggita, l’EFSA, parola “tabù” da quelle parti).

Ma forse c’è qualcosa di buono in tutto questo: gli ottimistici bollettini EFSA, per chi ci crede, possono rappresentare un’ottima medicina contro eventuali attacchi di ipocondria.




NOTE

Davvero le agenzie europee che dovrebbero tutelare noi cittadini nei vari campi, lo fanno con scienza e coscienza?

E' un dubbio che spesso ci viene quando valutiamo determinate decisioni assai discutibili.

Per esempio prendiamo l'EFSA, l'Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare, più volte citata anche da questo blog per suoi pareri che non sempre sembrano andare nella direzione che noi cittadini europei auspichiamo: l'aumento di aflatossine nella frutta secca, il via libera alla patata ogm amflora, resistente agli antibiotici, l'ambigua posizione assunta nei confronti della carne clonata e poi l'ultimissimo parere che non modifica la concentrazione giornaliera ritenuta tollerabile di bisfenolo A, lo spinoso problema dei pesticidi.

A rincarare il dubbio è intervenuto in questi giorni l'eurodeputato verde Josè Bovè che punta il dito contro la scienziata ungherese Diana Banati, presidente del consiglio di amministrazione dell'EFSA.

Ebbene la Signora in questione è anche membro del Consiglio di Amministrazione dell'ILSI Europe (International Life Science Insitute), organismo che raggruppa imprese come la Monsanto (mons810),  Syngenta (ogm e pesticidi), Dupont, Nestlè, Kraft.

Parafrasando un noto film è ... proprio... una su due poltrone!

Ovviamente l'EFSA si è affrettata a rispondere in un comunicato di oggi che "Il Consiglio di Amministrazione dell'EFSA non ha alcuna influenza sui pareri scientifici, che restano nella piena responsabilità dei gruppi di esperti e del comitato scientifico".

Sarà anche vero, ma non ci possono ritenere tanto sempliciotti da non riflettere sul fatto che un 'minimo' di condizionamento tra un consiglio di amministrazione e un comitato scientifico potrebbe esistere, anche nel migliore dei casi. O forse siamo davvero ingenui.

José Bové: «L’Efsa è indipendente?»
27/09/2010 - Sloweb
L'eurodeputato dei Verdi José Bové, appare più che mai deciso a rilanciare la controversia sull'indipendenza, in materia di valutazione scientifica, dell'Agenzia europea per la sicurezza alimentare di Parma. Bové, precisa una nota, ritiene sia «necessario creare un'Autorità europea della sicurezza alimentare realmente indipendente e vuole fare il punto sui mezzi necessari che dovranno essere messi in opera per evitare che le imprese dettino loro le stesse regole che auspicano vedersi imporre dalle autorità politiche».

Il vicepresidente della commissione agricoltura del Parlamento europeo preannuncia la diffusione mercoledì 29 settembre di nuovi elementi per convalidare l'accusa di conflitto d'interesse, di cui dice di aver già informato il commissario europeo alla sanità John Dalli. Al riguardo Bové precisa: «Il 14 luglio ho incontrato il commissario Dalli su richiesta dello stesso, e in quell'occasione l'ho messo in guardia sul pericolo di mantenere la scienziata ungherese Diana Banati alla presidenza del consiglio di amministrazione dell'Efsa, un posto che richiede una totale indipendenza ed una completa imparzialità». Bovè aggiunge: «la signora Banati nella sua dichiarazione d'interesse omette di dire che è membro del consiglio di amministrazione dell'Ilsi Europe, che a mio parere - scrive - è un errore grave». La nota precisa che «l'International Life Science Institute (Ilsi Europa) è un organismo internazionale che raggruppa più di 400 imprese tra cui Monsanto, Syngenta, Dupont, Nestle, Kraft».

Dalla sua creazione nel 2002, l’Efsa ha ricevuto dalle industrie agroalimentari 119 domande di autorizzazione o ri-autorizzazione per organismi geneticamente modificati. Più della metà (69) sono ancora allo studio, mentre si è pronunciata su 42... sempre positivamente. Anche associazioni come Friends of the Earth e Greenpeace contestano l’indipendenza dell’Agenzia, a partire dal suo membro del comitato scientifico Harry Kuiper, il quale è stato coordinatore dal 2000 al 2003 di un programma di ricerca europeo a cui hanno partecipato Monsanto, Bayer CropScience e Syngenta.

Clicca qui per vedere i membri del comitato sceintifico dell’Efsa

Fonte:
La Repubblica – Parma
Le Monde
www.efsa.europa.eu

Archivio News da Università degli Studi di Scienze Gastronomiche






Il ministro Ronchi: "L'Efsa 2 è follia. Ma L'Efsa 1 non va"


13 marzo 2009Parole chiave: alimentazione (1)



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Un'eventuale «Efsa 2» non ha senso, basta rafforzare ed ampliare le competenze dell'attuale Efsa di Parma. Ma l'attuale Efsa di Parma «non funziona, o funziona a scartamento ridotto». Il Ministro per le Politiche comunitarie Andrea Ronchi prende posizione sull'ipotesi di una nuova Agenzia sulla qualità alimentare - votata a larga maggioranza martedì scorso dal Parlamento europeo - che dovrebbe affiancarsi all'Authority parmigiana sulla sicurezza alimentare. Lo fa ribadendo la scelta di Parma come riferimento europeo del settore alimentare, ma con un distinguo grande come un macigno: l'Efsa finora ha disatteso le aspettative. «L'Efsa ha un potenziale enorme di studio comunicazione, iniziative. Invece....»

Allora ministro, questa nuova Authority?
«Non esiste alcuna Efsa 2, in quanto tutte le opportunità che ci sono per crescere, rispetto al voto e alle indicazioni del Parlamento europeo, dovrebbero andare non nel senso della creazione di un'altra Authority ma nel rafforzamento di quella di Parma. Ovviamente alla condizione di ragionare sullo spirito di questa agenzia. Sulla quale finora francamente non c'è un giudizio molto positivo».

Perchè?
«Chi dirige l'Agenzia dovrebbe svolgere un'azione più marcata. L'Efsa, che io fra l'altro ho visitato, per l'Italia è un'agenzia importante. Nonostante gli sforzi del governo italiano per sostenerla e promuoverla, non corrisponde alle esigenze di un Paese che vi ha investito molto. Sono molto perplesso sull'azione fatta nel corso di questi mesi».


Si riferisce a qualche aspetto particolare, come la polemica sugli Ogm?
«No. Ma io credo che un'agenzia così importante su un tema così sensibile, che tocca le vite quotidiane di tutti i cittadini, potrebbe avere un potenziale enorme di comunicazione, di studio, di iniziative. Invece non funziona, o se funziona lo fa a scartamento ridotto. Dobbiamo cogliere dal voto del Parlamento europeo uno stimolo non per creare un'altra agenzia, ma per rendere questa pi efficace ed incisiva. Non vorrei che fra qualche tempo si dicesse che l'Efsa è un'occasione persa».

Eppure gli enti locali hanno investito molto in questa agenzia, sia in strutture che in servizi...
«Certamente: Parma ha fatto molto e anche il governo, che ha condotto una grande battaglia per avere l'Efsa e ha scommesso su di essa. Ma il mio giudizio su questa agenzia resta per ora totalmente negativo».


Il pronunciamento del Parlamento europeo potrebbe essere l'occasione per dare all'Efsa nuove competenze, ad esempio su Dop, Igp e Stg?
«Proprio perchè siamo in crisi economica, e perchè dobbiamo razionalizzare e migliorare, l'Efsa 2 è una follia. Guardi, possiamo 'allargare' l'Efsa come vogliamo. Io sono perchè rimanga a Parma ed abbia più competenze possibili. Ma deve cambiare basi e mentalità, diventare funzionale e produttiva. Chi l'ha gestita fino a questo momento non è stato all'altezza della situazione».



Monica Tiezzi 


Quale quotidiano parla oggi dei "fatti"?



Quando si esibisce in pubblico Eugenio Scalfari (87 anni) ha il vezzo di presentarsi come un vecchietto facoltoso e un po’ sulle nuvole, che ogni tanto si fa il suo tranquillo giretto in barca o frequenta aste di quadri, che perde facilmente il filo del discorso, che si ripete spesso e volentieri ecc.

Uno dei refrain preferiti , in polemica perenne col Corsera ed il suo direttore De Bortoli è che “ il rispetto verso i lettori si manifesta non illudendoli su una impossibilità obiettività del giornale, ma chiarendogli da subito qual è l’angolo visuale da cui si legge la realtà” . E qui Scalfari tira fuori la storiella vecchia come il cucco, con le sue infinite varianti, del  re che convoca tutti i ciechi della città in piazza e ordina loro di toccare l’elefante reale e dirgli come è fatto. Chi gli tocca la proboscide dice che è come un serpente,  chi la coda dice che è come una corda, chi le zanne come una lancia e così via.

Lo ha ribadito anche a Parma qualche giorno fa.

E’ da quando ha fondato Repubblica che glielo sentiamo dire ed ormai ha assunto i connotati di un’excusatio non petita.

Scalfari in effetti ha qualcosa da farsi perdonare.

E’ stato su suo impulso che la Repubblica, da quotidiano genericamente di sinistra liberal-democratica, qual’era alle origini (La Repubblica, com’è noto, è l’unico giornale nato - nel 1976 - per essere venduto, insomma per fornire un servizio ai lettori, all’insegna del motto anglosassone “I fatti separati dalle opinioni” ) s’è involuto in giornale schierato e militante, collaterale col Pci-Pds-Pd , e ormai ambisce addirittura a fare politica in prima persona.

Specie dall’ingresso in via dei Mille di un proprietario, De Benedetti, (cui Scalfari ha ceduto le sue quote), intenzionato a trattare da pari a pari col potere politico-istituzionale e nel caso persino piegarlo ai suoi voleri (fu il combinato disposto di Repubblica e Corsera ad imporre nel 2007 Veltroni come segretario Pd, provocando una risentita lettera del concorrente Fassino).

E intanto continua imperterrita a riproporre in prima pagina le solite, stucchevolissime notizie di bassa politica politicante, le esasperanti esegesi dell’alzata di sopracciglio di questo o quel politicante (e non parliamo certo né di un De Gasperi né di un Togliatti).

Infischiandosene dei sondaggi che collocano tali argomenti  in fondo alla scala di gradimento dei lettori e della loro disaffezione crescente, documentata dal calo delle copie vendute (15.2% in meno tra 2007 e 2008 = da 580.000 a 518.000 copie), ma anche da lettere come questa di una lettrice romana: “Ho partecipato a movimenti politici, partiti, ora non riesco neanche più a leggere i giornali, non voglio sapere niente delle interviste ad escort a tutta pagina ecc.… tutto questo mi ha portato ad una forma di depressione inutile…”.

Umori del resto ben presenti allo stesso Scalfari, che in un editoriale di domenica 19 settembre dedicato al dualismo Fini-Berlusconi scriveva: “A me non piace il politichese. Non mi piace come linguaggio e neanche come argomento, anche perché – ne sono certo – non piace neppure ai nostri lettori". Mentre in un editoriale successivo auspicava “di poter presto dedicarsi a parlare dell’amore e delle sue conseguenze", anziché delle diatribe sulla casa di Montecarlo.

Nonché a suoi autorevoli colleghi, quali il corsivista Michele Serra, che in una sua “Amaca” recente ostentava sdegno per il diverso peso che sulla bilancia dell’informazione hanno quisquilie come la casa di Montecarlo e fatti “veri”, ricchi di senso e di pathos, come la manifestazione dei giovani calabresi contro la mafia a Reggio.

Per non parlare di Giorgio Bocca che scriveva già anni fa: “Davvero non si possono chiamare informazione questo dire e disdire sul nulla della nostra politica, l’insopportabile chiacchiericcio sul vuoto".

Non sono da meno il Corsera e Ferruccio De Bortoli, l’altra colonna portante del nostro sistema editoriale.

“I fatti sono fatti e le opinioni sono opinioni", sostiene ad ogni pie' sospinto il direttorissimo. Oppure: “Noi siamo testimoni al di sopra delle parti” . Oppure : “ Siamo un giornale che ragiona con la propria testa, lungo il solco liberale della sua tradizione. Un quotidiano che si ostina a coltivare la propria indipendenza”. E’ lo stesso De Bortoli che, allontanato nel 2005 dalla direzione del Corsera, si lamentava delle pressioni politiche avverse , salvo il giorno dopo elogiare la grande libertà di cui godeva l’attività giornalistica  della sua ex testata ( esattamente come ha fatto Enrico Mentana il giorno dopo essere stato cacciato dal TG5).

Ora, certe pretese di imparzialità sono discutibili a prescindere (come sottolinea Umberto Eco, “il mito dell’obiettività, del giornale “indipendente” camuffa semplicemente la riconosciuta e fatale prospetticità di ogni notizia. Per il semplice fatto che scelgo di dire una cosa piuttosto che un’altra ho già “interpretato”).

Ma ammettiamo pure che si possa rimanere indipendenti avendo alle spalle – come Corsera e tutti o quasi tutti i quotidiani nazionali e locali - degli editori “impuri” (industriali e finanzieri) che non hanno nessun interesse ad inimicarsi una classe politica che può fare dei favori (da ricambiare?) alle loro attività “principali”, editori i cui utili sono rimpolpati per giunta da qualcosa come 23 milioni di euro all’anno di contributi pubblici, stabiliti cioè da quella stessa classe politica di cui il Corsera dovrebbe essere il cane da guardia. [1]

Come minimo, deve essere una fatica immane, con qualche evidente stramazzamento... 

Come quando, dopo la reprimenda del Ministro Bondi datata 5 agosto sul caso dell’alloggio di Montecarlo (“Il Corriere è rimasto muto e strabico di fronte a episodi denunciati da altri autorevoli quotidiani.. È troppo chiedere anche al Corriere, che ha sempre fatto della completezza dell' informazione una propria bandiera, di informare anche i propri lettori di quanto stanno rivelando alcuni quotidiani nazionali?), De Bortoli - che non era rimasto muto e strabico, ma aveva tenuto fin ad allora un profilo più basso sull’argomento, con articoli quasi quotidiani a partire dal 29 luglio, ma in pagine interne, tra la quinta e la nona, forse più adeguate all’entità oggettiva del fatto - ha fatto dietrofront dopo una penosa ammissione di colpa.

Ed appena il giorno dopo (6 agosto) il Corsera mette in prima pagina (taglio medio) un articolo sull’argomento “Casa di Montecarlo: la guardia di finanza nella sede di An” che poi sviluppa all’interno occupando le pagine ottava e la nona . E via di questo passo nei giorni successivi.

Non pare una gran prova d’indipendenza.

Evidentemente anche per De Bortoli i lettori vengono dopo, se accetta di dare un rilievo debordante al bilocale di 50 metri quadri con cucina Scavolini da 4500 euro a Montecarlo solo per fare un piacere ad un potente.

Ed il problema è che – mentre gli affezionati lettori del Giornale e di Libero, che hanno lanciato e cavalcato lo “scoop” fino all’esaurimento, per mettere la sordina agli scandali del premier oltre che per killerare Fini, sanno benissimo che cosa c'è da aspettarsi da loro ed è proprio quello che vogliono, non certo essere informati, ma semplicemente confermati nelle loro posizioni aprioristicamente berlusconiane  ( capita persino di leggere nelle rubriche apposite lettere come quella alla Gazzetta di Parma di un tizio che, disperato per qualche “libertà” di troppo che s’erano presi i vari Feltri e Belpietro, voleva sapere dove poteva leggere che “Berlusconi ha sempre e comunque ragione”) – i lettori del Corsera non sarebbero affatto così contenti di scoprire che il loro prestigioso newsmagazine – a parte il caso Montecarlo – anziché assolvere alla sua sbandierata mission di stampa libera e indipendente, si occupa piuttosto di competere al pari de la Repubblica nel sistema politico, orientando l’agenda politica , le scelte di leadership, i comportamenti dei politici .

Ma dovranno prima o poi rassegnarsi anche loro: in un sistema siffatto, in assenza di un mercato strutturato ed articolato, di giornali e giornalisti che si facciano una guerra anche spietata come accade negli Usa, guardando ai lettori più che al loro posizionamento politico (il che spiega più di tutto, più di una presunta idiosincrasia alla lettura degli italiani, la scarsa diffusione della stampa nostrana) non c’è quotidiano che possa davvero rappresentare e dar voce alla pubblica opinione e rappresentare una funzione di controllo democratico del potere , come pretendono i de Bortoli (e pure gli Scalfari). 

Noi internauti, intanto, consoliamoci col webjournalism, almeno finché anch’esso non verrà fagocitato dal Murdoch di turno.





[2][1] Il Corsera e le altre 385 testate ottengono contributi pubblici diretti  per un importo annuo di circa 600 milioni di euro in totale ( tra cui particolarmente odiosi i 29 milioni per presunte coop create ad arte, compreso quella del mitico Ciarrapico che si frega da solo 5 milioni di euro editando dodici piccole testate locali tipo Ciociaria Oggi o Castelli Oggi) ). Gli italiani dunque finanziano tra gli altri , oltre al giornale della RCS, anche il quotidiano della Confindustria ( 19 milioni di euro l’anno), il quotidiano della Conferenza episcopale italiana ( 10 miliardi) ed il quotidiano della Fiat ( 7 miliardi).

Poi ci sono le imprese editrici di quotidiani, periodici e libri ( ben 495) che beneficiano del credito d’imposta per le spese sostenute per l’acquisto di carta , per un totale di circa 85 milioni annui ( ad es. la Mondadori di Berlusconi prende 10 milioni di euro annui per questa voce, più uno sconto sulle spedizioni postali per 19 milioni di euro annui)

 Questo in un paese che ha il più alto debito pubblico dell’Occidente, salito nel 2006 ad oltre 1600 miliardi di euro, e che paga ogni anno il 6 per cento del PIL per gli interessi su tale debito.

























LA FREGATURA IN INGLESE



Si sa,  spesso le fregature stanno nelle parole, nei termini astrusi , magari stranieri, che suonano bene e portano male.

I due esempi più legati all’attualità politica nostrana  sono project-financing ( o  finanza di progetto), con la variante del leasing in costruendo,  e   social housing .

Il primo, in particolare, funziona così.

Il Comune decide di costruire. Non ha i soldi . Bandisce una gara fra banche e la vincente realizza l’opera , attraverso i suoi costruttori di fiducia, che ne mantengono la gestione facendo pagare al Comune un canone annuo ( ad esempio,  i 900.000 euro l’anno per venti anni che il Comune paga per il Duc al consorzio Unieco-Bonatti che l’ha realizzato).

Oppure rivalendosi sugli utenti privati ( ad esempio i commercianti che pagheranno  6.200 euro al metro quadro i loro negozi alla Progetto Ghiaia srl , cioè Bonatti & C. , dopo però che  il Comune  ci ha messo di suo ben 3 milioni di euro , più di quanto previsto in origine, per le solite revisioni in corso d’opera , per di più accettando un progetto discutibile che inibisce in parte  la visione degli storici palazzi che si affacciano sulla piazza : la Ghiaia come la conosciamo, per rezdore di poche pretese , sarà solo un ricordo).

In generale, a parte questi dettagli non di poco conto , il privato cercherà di smenarci il meno possibile, magari proponendo   materiali e impasti non proprio di prima scelta  o  cercando di completare l’opera nel più breve tempo possibile, a detrimento della qualità, così da incassare il dovuto e saldare i debiti senza un eccessivo  salasso di interessi .

O,  peggio ancora ,  di ficcarci dentro le cose più improbabili, nel suo esclusivo vantaggio . Di qui i ben tre piani sottoterra della nuova Ghiaia,  oppure le cosiddette “strutture ricettive e commerciali “ che la Pizzarotti  vorrebbe mettere dentro l’Ospedale Vecchio, cioè dentro un complesso monumentale di incredibile bellezza e storia  che in base al Codice Urbani può essere solo “restaurato”  , per recuperarne  “ l’integrità materiale  e proteggerne i  valori culturali” , mica  stravolto .

E’ qui che casca l’asino : perché se  l’ente accetta passivamente tutto quel che propone il privato, progetti sconclusionati  o addirittura contra legem come quello della Ghiaia  o dell’Ospedale Vecchio  ( dove , già che c’era, il Comune  ha fatto anche di più e di peggio :  andata deserta  la licitazione privata per trovare nuove offerte migliorative,  s’è fatto addirittura promotore di una revisione prezzi rispetto all’importo iniziale chiesto dalla ditta; ma la normativa del project financing prevede che nel caso alla gara partecipi un solo concorrente, cioe' il promotore (in questo caso la Pizzarotti), l'importo di aggiudicazione dei lavori (indicato nel piano economico finanziario presentato dalla azienda, in 14milioni e 800mila) sia vincolante. Invece  nella delibera finita nel mirino degli inquirenti e nella convenzione stipulata in seguito tra Comune e Pizzarotti, e' stata prevista una revisione delle condizioni economiche qualora si fossero verificate variazioni delle condizioni di mercato tali da non rendere sostenibile il risultato atteso dal piano economico finanziario.
Tale clausola, afferma Laguardia, era stata gia' bocciata nel 2009 dall'Autorita' di vigilanza dei contratti pubblici che aveva invitato il Comune a modificare la bozza della convenzione conformemente ai principi che governano la finanza di progetto affinche' l'assunzione dell'area economica risulti in capo al concessionario (in altre parole, l'importo doveva essere quello stabilito inizialmente) . Temi ripresi dal Consiglio di Stato nelle motivazioni di una sua pronuncia in un ricorso presentato da Monumenta.

Per quanto attiene invece la presunta violazione dell'articolo 170 del codice Urbani (normativa su immobili di interesse storico artistico) secondo la Procura (come sostenuto in un ricorso di Monumenta) si parlava di un restauro dell'Ospedale Vecchio, mentre le opere prevedevano invece strutture commerciali e ricettive tali da presupporre una ristrutturazione anziche' un restauro.

Si sa,  spesso le fregature stanno nelle parole, nei termini astrusi , magari stranieri, che suonano bene e portano male.

I due esempi più legati all’attualità politica nostrana  sono project-financing ( o  finanza di progetto), con la variante del leasing in costruendo,  e   social housing .

Il primo, in particolare, funziona così.

Il Comune decide di costruire. Non ha i soldi . Bandisce una gara fra banche e la vincente realizza l’opera , attraverso i suoi costruttori di fiducia, che ne mantengono la gestione facendo pagare al Comune un canone annuo ( ad esempio,  i 900.000 euro l’anno per venti anni che il Comune paga per il Duc al consorzio Unieco-Bonatti che l’ha realizzato).

Oppure rivalendosi sugli utenti privati ( ad esempio i commercianti che pagheranno  6.200 euro al metro quadro i loro negozi alla Progetto Ghiaia srl , cioè Bonatti & C. , dopo però che  il Comune  ci ha messo di suo ben 3 milioni di euro , più di quanto previsto in origine, per le solite revisioni in corso d’opera , per di più accettando un progetto discutibile che inibisce in parte  la visione degli storici palazzi che si affacciano sulla piazza : la Ghiaia come la conosciamo, per rezdore di poche pretese , sarà solo un ricordo).

In generale, a parte questi dettagli non di poco conto , il privato cercherà di smenarci il meno possibile, magari proponendo   materiali e impasti non proprio di prima scelta  o  cercando di completare l’opera nel più breve tempo possibile, a detrimento della qualità, così da incassare il dovuto e saldare i debiti senza un eccessivo  salasso di interessi .

O,  peggio ancora ,  di ficcarci dentro le cose più improbabili, nel suo esclusivo vantaggio . Di qui i ben tre piani sottoterra della nuova Ghiaia,  oppure le cosiddette “strutture ricettive e commerciali “ che la Pizzarotti  vorrebbe mettere dentro l’Ospedale Vecchio, cioè dentro un complesso monumentale di incredibile bellezza e storia  che in base al Codice Urbani può essere solo “restaurato”  , per recuperarne  “ l’integrità materiale  e proteggerne i  valori culturali” , mica  stravolto .

E’ qui che casca l’asino : perché se  l’ente accetta passivamente tutto quel che propone il privato, progetti sconclusionati  o addirittura contra legem come quello della Ghiaia  o dell’Ospedale Vecchio  ( dove , già che c’era, il Comune  ha fatto anche di più e di peggio :  andata deserta  la licitazione privata per trovare nuove offerte migliorative,  s’è fatto addirittura promotore di una revisione prezzi rispetto all’importo iniziale chiesto dalla ditta  )   o ,  per dire, una percentuale troppo bassa di cemento e di ferro  e troppo alta di sabbia nell’impasto,  e quant’altro, se poi l’edificio viene giù in tutto o in parte, come è successo per il Duc,  o  rischia di farlo per seri difetti di struttura, come pare il caso dell’edificio scolastico nuovo di via Toscana, inaugurato dalla Provincia con gran pompa e imprudenti elogi per la rapidità,  o va incontro ad un contenzioso infinito, la colpa va addebitata non al privato, ma all’ente pubblico, che non ha fatto il suo dovere fino in fondo o non l’ha fatto per niente.



Il social housing : altro parolone inglese di grande effetto.

Premessa. Nella Ville Lumiere gli uomini del Comune  vanno in giro in pieno centro, persino negli  arrondissement più prestigiosi come il XVI, dove c’è il Bois de Boulogne ed il Roland Garros, a comprar case, ristrutturarle e affittarle a canoni sociali o concordati ( per legge la Municipalitè ha diritto di prelazione su tutte le transazioni immobiliari): quattordicimila alloggi acquistati nel 2009. Così, invece di costruire sempre nuovi quartieri periferici sempre più lontani dal centro,  le case nuove nascono anche in pieno centro e sono per tutti ( anche così si mantiene in vita un centro storico) .

Nella petite capitale si fa il contrario : il Comune non compra né in centro né fuori , e costruisce o meglio fa costruire sempre più lontano dal centro, magari in zone malservite dal trasporto pubblico e senza negozi, come via Budellungo aldilà della tangenziale Sud, intascando gli oneri di urbanizzazione versati all’atto del rilascio del permesso di costruire, senza riguardo al consumo di suolo .

Torniamo al social housing . Di che si tratta ? Il Comune  di Parma  ( prima città in Italia ad aver sviluppato questo progetto, mentre altri progetti sono in preparazione a Roma,Torino, Monza e nel Veneto) cede   ai privati  dei terreni di sua proprietà con relativo permesso di costruire, diritto di superficie per 99 anni  e cospicui finanziamenti pubblici , ossia  25 milioni di Euro dalla Cassa Depositi e Prestiti (Stato) ,10 milioni dalla Fondazione Cariparma, 3 milioni dalla Regione  e 15 milioni  dal  Comune di Parma tramite la già indebitatissima Holding Stt spa. ( oltre alla esenzione dal pagamento del contributo costruzione e all'abbattimento dell'aliquota ICI) .

I privati costruiscono e cedono una quota, solo una quota dell’intervento per l’affitto concordato ridotto del 30 per cento ed un altra quota  , il 20%  ,  a  canone convenzionato di circa  600 euro  al mese  più spese per alloggi di 80mq., con riscatto  all'ottavo anno.

In ogni caso, sarà il gestore privato ( così come accade per il project financing) a decidere chi  - tra le giovani coppie, i nuclei con anziano di età superiore ai 70 anni o con persona che presenta invalidità superiore al 67% o composti da nuclei famigliari di almeno 4 persone e nuclei monogenitoriali  che hanno diritto di precedenza - entrerà negli alloggi in affitto allestiti con fondi anche pubblici. C’è da supporre che sceglierà chi  offre maggiori garanzie economiche.

Il resto delle case  (il 50 per cento) i privati  lo immettono sul mercato, ad un costo di 1850 euro al mq. Quindi il  70% degli alloggi del progetto sono costituiti da edilizia convenzionata, che da anni il privato realizza senza i finanziamenti pubblici. Dove sta in questo caso l'interesse pubblico, si chiede giustamente Katia Torri della rete diritti in casa?

Speriamo solo che almeno siano tenuti alla larga dai prossimi cantieri quei pescecani (forse  buoni clientes di quelli del Palazzo ) che, avendo già la proprietà magari abusiva di uno o più ex-alloggi Acer,  sono soliti  affacciarvisi per chiedere – con inusitata faccia tosta - che le costruende case vengano affittate così, a la carte, ai loro figli e parenti, come già successo in passato, almeno stando  a quanto racconta chi ci ha lavorato dentro, né sarebbe una sorpresa, vista la quantità indicibile di abusi in materia .



Questi sono i sistemi coi quali  prosegue la colata di cemento (con tutto quel che si porta dietro anche in termini di criminalità mafiosa) che ci vede addirittura al terzo posto in Italia , preceduti solo da due metropoli come Roma e Venezia-Mestre,  per consumo di suolo agricolo, cioè della terra più fertile d’Europa dove nasce – almeno per qualche anno ancora - il parmigiano-reggiano ( ne sparisce un ettaro al giorno ! ).

Eppure, appena ti affacci al Duc o all’ Acer per informazioni sui bandi – casa o semplicemente per cambiar casa perché siete in cinque in un buco, ti rispondono invariabilmente : “Non abbiamo case” .



Signor direttore, Il Vice Sindaco ha risposto al mio intervento, dandomi, in parte, ragione. Nella mia conferenza stampa del 26 u.sc., sul tema, rilevavo che il Comune – a fronte del parere del Comitato Tecnico Scientifico - avrebbe dovuto quantomeno (volendo mantenere la procedura del project financing, che ancora contesto) dovuto indire una nuova gara, ripartendo da capo. Ancora sostenevo che il Comune ha procurato alla Pizzarotti un ingiusto vantaggio patrimoniale. Infatti, espletata la licitazione privata (seconda fase del Project) ed in mancanza di partecipanti, la aggiudicazione doveva avere luogo mantenendo lo stesso importo del Piano Economico Finanziario dell’Impresa. E quindi euro 14.800.000,00. Invece il Comune ha previsto di fare luogo ad una revisione prezzi. Il Vice Sindaco (intervistato dalla Gazzetta di Parma – v. il numero di giovedì 27 gennaio u.sc.) ha risposto (al mio 1° punto) dichiarando che dopo la sentenza “il Comune aveva riaperto il bando” senza che arrivasse nessuna nuova offerta. Confondendo gli atti della procedura. Non è vero che fosse stato riaperto il bando. Tale gara, infatti, non era l’indizione di una NUOVA PROCEDURA di Project Financing, che partisse ex novo, con la quale i partecipanti potevano presentare progetti integralmente nuovi, e si sarebbe ripartiti da capo. Era soltanto la licitazione volta a comparare l’offerta della Pizzarotti, già nominata promotore, con altre eventuali offerte migliorative. Era cioè una fase della procedura già indetta il 30 giugno 2003, e che aveva portato, appunto, alla nomina della Pizzarotti come promotrice. Resta assodato e non contestato, quindi, che né il Comune ha indetto un nuovo Project né ha aggiudicato la gara al prezzo del Piano Economico Finanziario della Pizzarotti, come avrebbe dovuto. E quindi implicitamente ha ammesso l’accusa del doppio ingiusto vantaggio procurato, allo stato, dal Comune. O comunque il Comune – e per Lui il Vice Sindaco - non ha trovato nessun elemento per smentire i fatti contestati. Ma c’è di più. Dichiarando che non era vero che il Comune non aveva indetto una nuova gara, ma che la aveva bandita, ha ammesso la veridicità della prima parte del mio assunto: che cioè doveva essere indetto un nuovo Project Financing. Fermo restando che continuo a contestare la procedura del Project che, con la creazione di strutture ricettive e commerciali, altera il valore ed il significato culturale dell’Ospedale Vecchio: in contrasto con l’art. 29, comma 4, del Codice Urbani.

ULTIMI COMMENTI




Dal 2003 siamo arrivati al 2011 e l'ospedale vecchio è ancora lì immobile! è stato spostato l'archivio di stato, quindi svuotata un'area, possono iniziare i lavori o la 'vecchia tecnica' del 'non fare' prevarrà sul 'fare' approvato dai cittadini nelle ultime elezioni! naturalmente presenteranno esposto in procura, che aprirà un processo e farà il suo corso, bloccando e rinviando alle 'calende greche' e favorendo il non 'fare', anche se fra qualche anno, una decina, darà ragione al Comune!



  )   o ,  per dire, una percentuale troppo bassa di cemento e di ferro  e troppo alta di sabbia nell’impasto,  e quant’altro, se poi l’edificio viene giù in tutto o in parte, come è successo per il Duc,  o  rischia di farlo per seri difetti di struttura, come pare il caso dell’edificio scolastico nuovo di via Toscana, inaugurato dalla Provincia con gran pompa e imprudenti elogi per la rapidità,  o va incontro ad un contenzioso infinito, la colpa va addebitata non al privato, ma all’ente pubblico, che non ha fatto il suo dovere fino in fondo o non l’ha fatto per niente.



Il social housing : altro parolone inglese di grande effetto.

Premessa. Nella Ville Lumiere gli uomini del Comune  vanno in giro in pieno centro, persino negli  arrondissement più prestigiosi come il XVI, dove c’è il Bois de Boulogne ed il Roland Garros, a comprar case, ristrutturarle e affittarle a canoni sociali o concordati ( per legge la Municipalitè ha diritto di prelazione su tutte le transazioni immobiliari): quattordicimila alloggi acquistati nel 2009. Così, invece di costruire sempre nuovi quartieri periferici sempre più lontani dal centro,  le case nuove nascono anche in pieno centro e sono per tutti ( anche così si mantiene in vita un centro storico) .

Nella petite capitale si fa il contrario : il Comune non compra né in centro né fuori , e costruisce o meglio fa costruire sempre più lontano dal centro, magari in zone malservite dal trasporto pubblico e senza negozi, come via Budellungo aldilà della tangenziale Sud, intascando gli oneri di urbanizzazione versati all’atto del rilascio del permesso di costruire, senza riguardo al consumo di suolo .

Torniamo al social housing . Di che si tratta ? Il Comune  di Parma  ( prima città in Italia ad aver sviluppato questo progetto, mentre altri progetti sono in preparazione a Roma,Torino, Monza e nel Veneto) cede   ai privati  dei terreni di sua proprietà con relativo permesso di costruire, diritto di superficie per 99 anni  e cospicui finanziamenti pubblici , ossia  25 milioni di Euro dalla Cassa Depositi e Prestiti (Stato) ,10 milioni dalla Fondazione Cariparma, 3 milioni dalla Regione  e 15 milioni  dal  Comune di Parma tramite la già indebitatissima Holding Stt spa. ( oltre alla esenzione dal pagamento del contributo costruzione e all'abbattimento dell'aliquota ICI) .

I privati costruiscono e cedono una quota, solo una quota dell’intervento per l’affitto concordato ridotto del 30 per cento ed un altra quota  , il 20%  ,  a  canone convenzionato di circa  600 euro  al mese  più spese per alloggi di 80mq., con riscatto  all'ottavo anno.

In ogni caso, sarà il gestore privato ( così come accade per il project financing) a decidere chi  - tra le giovani coppie, i nuclei con anziano di età superiore ai 70 anni o con persona che presenta invalidità superiore al 67% o composti da nuclei famigliari di almeno 4 persone e nuclei monogenitoriali  che hanno diritto di precedenza - entrerà negli alloggi in affitto allestiti con fondi anche pubblici. C’è da supporre che sceglierà chi  offre maggiori garanzie economiche.

Il resto delle case  (il 50 per cento) i privati  lo immettono sul mercato, ad un costo di 1850 euro al mq. Quindi il  70% degli alloggi del progetto sono costituiti da edilizia convenzionata, che da anni il privato realizza senza i finanziamenti pubblici. Dove sta in questo caso l'interesse pubblico, si chiede giustamente Katia Torri della rete diritti in casa?

Speriamo solo che almeno siano tenuti alla larga dai prossimi cantieri quei pescecani (forse  buoni clientes di quelli del Palazzo ) che, avendo già la proprietà magari abusiva di uno o più ex-alloggi Acer,  sono soliti  affacciarvisi per chiedere – con inusitata faccia tosta - che le costruende case vengano affittate così, a la carte, ai loro figli e parenti, come già successo in passato, almeno stando  a quanto racconta chi ci ha lavorato dentro, né sarebbe una sorpresa, vista la quantità indicibile di abusi in materia .



Questi sono i sistemi coi quali  prosegue la colata di cemento (con tutto quel che si porta dietro anche in termini di criminalità mafiosa) che ci vede addirittura al terzo posto in Italia , preceduti solo da due metropoli come Roma e Venezia-Mestre,  per consumo di suolo agricolo, cioè della terra più fertile d’Europa dove nasce – almeno per qualche anno ancora - il parmigiano-reggiano ( ne sparisce un ettaro al giorno ! ).

Eppure, appena ti affacci al Duc o all’ Acer per informazioni sui bandi – casa o semplicemente per cambiar casa perché siete in cinque in un buco, ti rispondono invariabilmente : “Non abbiamo case” .







Signor direttore, Il Vice Sindaco ha risposto al mio intervento, dandomi, in parte, ragione. Nella mia conferenza stampa del 26 u.sc., sul tema, rilevavo che il Comune – a fronte del parere del Comitato Tecnico Scientifico - avrebbe dovuto quantomeno (volendo mantenere la procedura del project financing, che ancora contesto) dovuto indire una nuova gara, ripartendo da capo. Ancora sostenevo che il Comune ha procurato alla Pizzarotti un ingiusto vantaggio patrimoniale. Infatti, espletata la licitazione privata (seconda fase del Project) ed in mancanza di partecipanti, la aggiudicazione doveva avere luogo mantenendo lo stesso importo del Piano Economico Finanziario dell’Impresa. E quindi euro 14.800.000,00. Invece il Comune ha previsto di fare luogo ad una revisione prezzi. Il Vice Sindaco (intervistato dalla Gazzetta di Parma – v. il numero di giovedì 27 gennaio u.sc.) ha risposto (al mio 1° punto) dichiarando che dopo la sentenza “il Comune aveva riaperto il bando” senza che arrivasse nessuna nuova offerta. Confondendo gli atti della procedura. Non è vero che fosse stato riaperto il bando. Tale gara, infatti, non era l’indizione di una NUOVA PROCEDURA di Project Financing, che partisse ex novo, con la quale i partecipanti potevano presentare progetti integralmente nuovi, e si sarebbe ripartiti da capo. Era soltanto la licitazione volta a comparare l’offerta della Pizzarotti, già nominata promotore, con altre eventuali offerte migliorative. Era cioè una fase della procedura già indetta il 30 giugno 2003, e che aveva portato, appunto, alla nomina della Pizzarotti come promotrice. Resta assodato e non contestato, quindi, che né il Comune ha indetto un nuovo Project né ha aggiudicato la gara al prezzo del Piano Economico Finanziario della Pizzarotti, come avrebbe dovuto. E quindi implicitamente ha ammesso l’accusa del doppio ingiusto vantaggio procurato, allo stato, dal Comune. O comunque il Comune – e per Lui il Vice Sindaco - non ha trovato nessun elemento per smentire i fatti contestati. Ma c’è di più. Dichiarando che non era vero che il Comune non aveva indetto una nuova gara, ma che la aveva bandita, ha ammesso la veridicità della prima parte del mio assunto: che cioè doveva essere indetto un nuovo Project Financing. Fermo restando che continuo a contestare la procedura del Project che, con la creazione di strutture ricettive e commerciali, altera il valore ed il significato culturale dell’Ospedale Vecchio: in contrasto con l’art. 29, comma 4, del Codice Urbani.

ULTIMI COMMENTI




Dal 2003 siamo arrivati al 2011 e l'ospedale vecchio è ancora lì immobile! è stato spostato l'archivio di stato, quindi svuotata un'area, possono iniziare i lavori o la 'vecchia tecnica' del 'non fare' prevarrà sul 'fare' approvato dai cittadini nelle ultime elezioni! naturalmente presenteranno esposto in procura, che aprirà un processo e farà il suo corso, bloccando e rinviando alle 'calende greche' e favorendo il non 'fare', anche se fra qualche anno, una decina, darà ragione al Comune!





INDICE






























[1] Il giudice Lorenzo Audisio il primo giugno scorso ha condannato Travaglio solo per avere ironizzato sulla parabola a precipizio della presidenza del Senato. Per le battute sulla muffa e il lombrico (terminali possibili della parabola discendente) Travaglio è stato condannato a pagare 16 mila euro di danni.
Mentre su tutto il resto, è stato promosso a pieni voti. Sui rapporti passati con soggetti poi condannati per mafia, per il giudice "non si può dubitare dell'interesse pubblico alla conoscenza di ogni avvenimento professionale inerente Renato Schifani che, notoriamente, ricopre attualmente la seconda carica istituzionale dello Stato". Dopo avere lodato "la correttezza dell'esposizione narrativa" il giudice passa a interessarsi del nocciolo della questione.
È vero quello che Travaglio dice sui rapporti societari di Schifani? E soprattutto è lecito scriverne e parlarne in tv? La risposta è un doppio sì. "Quanto alla verità dei fatti narrati", scrive il giudice, "deve osservarsi che Schifani non contesta di aver partecipato alla società Sicula Brokers... e non contesta neppure che ne facessero parte all'epoca della propria partecipazione Nino Mandalà, Benedetto D'Agostino e Giuseppe Lombardo" (i primi due arrestati per mafia una ventina di anni dopo la creazione della società nel 1978 con Schifani, il terzo amministratore delle società dei cugini Salvo).
Schifani contestava a Travaglio di avere "volutamente dimenticato di ricordare gli altri soci , mai toccati da inchieste giudiziarie". Su questo punto il giudice dà una lezione alla seconda carica dello Stato: "Le associazioni di tipo mafioso riescono a realizzare il controllo del territorio attraverso l'inserimento di propri associati, o di fiduciari, nelle attività economiche legali, così realizzando una sistematica attività di infiltrazione nel sistema imprenditoriale. Tale circostanza, - insiste il giudice -, non è solo ampiamente nota ma non è neppure ignorabile da soggetti nati e operanti da sempre in quel medesimo contesto territoriale.
Conseguentemente - infierisce il giudice - a maggior ragione deve chiedersi a chi ricopre incarichi pubblici l'assenza di zone d'ombra nella propria storia professionale o, per lo meno, una rivisitazione critica di eventuali inconsapevoli contatti avvenuti in passato con soggetti oggetto di indagini giudiziarie anche successive, che ne hanno dimostrato l'inserimento (o quanto meno la contiguità) in organizzazioni criminali operanti in un territorio identificabile quale proprio bacino elettorale".
Quindi non è solo corretto ma è un obbligo per un giornalista ricordare ai lettori e ai telespettatori i vecchi rapporti societari del presidente del Senato, eletto in Sicilia. Anzi, per il giudice, sarebbe doverosa da parte del presidente una rivisitazione critica di questi rapporti, che a parte Travaglio e il Fatto, in pochi hanno chiesto. Pertanto, quando Travaglio afferma che "se uno evitasse di mettersi in affari con gente di mafia, la lotta alla mafia riuscirebbe meglio" sta compiendo "puro esercizio del diritto di critica".
Travaglio, secondo il giudice, non ha fatto nulla di male neanche a sostenere "l'indegnità di Schifani a ricoprire la seconda carica dello Stato per via delle sue passate e appurate frequentazioni (che sono un fatto)". Pertanto il Tribunale rigetta la domanda di Schifani sul punto e lo stesso fa per le doglianze su Crozza Italia dove Travaglio aveva espresso "un'opinione su fatti corrispondenti a verità".
Resta Che tempo che fa. Nella trasmissione di Fazio, Travaglio aveva ironizzato: "Una volta avevamo De Gasperi, Einaudi, De Nicola, Merzagora, Parri, Pertini, Nenni... cioè uno vede tutta la trafila e poi arriva e vede Schifani... mi domando chi sarà quello dopo in questa parabola a precipizio, cioè dopo c'è solo la muffa, probabilmente, il lombrico come forma di vita, dalla muffa si ricava la penicillina tra l'altro e quindi era un esempio sbagliato".
L'intervento poi proseguiva chiedendo ai politici di sinistra di "chiedere alla seconda carica dello Stato di spiegare quei rapporti con signori che sono stati poi condannati per mafia". Il giudice non contesta "la parabola a precipizio della politica" ma ritiene "attacchi personali nei confronti dell'attore in quanto rivolte alla sua persona e non a fatti oggetto di interesse pubblico che sconfinano nella contumelia" le parole che seguono sulla muffa e il lombrico.
Per il giudice "è evidente che i riferimenti alla muffa e al lombrico attengono esclusivamente all'uomo Schifani". Pertanto Travaglio va condannato ma solo "in relazione a tale parte dell'intervento". I difensori di Schifani sono soddisfatti perché "i giudici hanno riscontrato la diffamazione" e confermano che "l'importo del risarcimento sarà devoluto interamente in beneficenza".
Caterina Malavenda, difensore di Travaglio replica: "Pur prendendo atto della condanna per ‘abuso di satira' esprimo soddisfazione per l'integrale accoglimento nel resto delle ragioni di Travaglio al quale è stato riconosciuto il corretto esercizio del diritto di cronaca e di critica".